Serenissima – ascesa

Nella società Veneziana continuò il gioco delle congiure, collegate alle influenze bizantine e a quelle franche, nonostante ciò i Venetici non diventarono più Franchi o più Longobardi di quanto non fossero i Greci, perché erano fieramente romani, fedeli alla tradizione romana e alla lingua latina. Il nono secolo, con una Italia in decadenza videro l’ascesa della loro futura ricchezza, mentre in città si moltiplicarono i mercanti e i marinai d’altura, ma anche coloro che, senza esercitare mercatura e navigazione, vedevano la possibilità di guadagno da queste attività. Grandi ricchi che oltre a possedere terre, erano ugualmente provvisti di capitali non irrilevanti, dei quali disponevano con la riserva “si salva de navigazione reversa fuerint”, se saranno tornati salvi dalla navigazione, ingenti somme investite nel commercio marittimo a cui non si sottraeva neppure il Doge. Fu una diversità importante perché il Medio Evo aveva ereditato dalla romanità il disprezzo della mercatura. Nel testamento del vescovo di Olivolo, dell’853 fece la comparsa il pepe, destinato a diventare, assieme alle altre spezie e al sale, uno delle ragioni dell’enorme arricchimento di Venezia. Senza dimenticare l’industria del vetro che, pur non menzionata, dai reperti ritrovati era già in misura avanzata.

Ma per tenere unita la città e la provincia ci voleva un simbolo, fu così che al Doge Giustiniano Parteciaco, figlio di Agnello, venne un’idea acuta, di grandissima portata morale. Inviò due provati mercanti, quanto ladroni: Buono da Malamocco e Rustico da Torcello, a rubare il corpo di san Marco, dal quale la chiesa di Aquileia rivendicava la sua origine, nella basilica di Alessandria d’Egitto. I due predoni corruppero i sacrestani e con un atto spregiudicato caricarono le reliquie in una cesta per nasconderla nella stiva della nave. La cosparsero di carne di maiale per non farsi importunare dalle guardie mussulmane e portarono tutto a Venezia, accolti da fasti e onori, dove diedero venerata sepoltura al Santo. Per quelle spoglie Giustiniano dispose la costruzione di una chiesa a fianco del palazzo ducale, destinata ad essere chiesa di Stato, che fu terminata dal fratello Giovanni. Da qui il Doge adottò il simbolo del leone alato, oro su sfondo rosso, con la scritta: “Pax tibi Marce, evangelista meus”.

 

 Trafugamento corpo San Marco

Il trafugamento del corpo di San Marco da Alessandria d’Egitto. in una raffigurazione musiva sulla facciata della basilica di San Marco a Venezia.

 

Giovanni abdicò e sparì in qualche pia istituzione di Grado, mentre fu fatto Doge Pietro Tradonico che si trovò Caorle saccheggiata dagli Slavi e subì una dura sconfitta dai Saraceni a Taranto, i quali risalito l’Adriatico, saccheggiato e incendiato Ancona inflissero un’ulteriore sconfitta ai veneziani nei pressi di Lussino. Ebbe però il merito di un successo diplomatico, avviando rapporti più stretti con il Sacro Romano Impero stipulando un accordo con Lotario, il Pactum Lotharii, aggiornamento del precedente patto franco-bizantino, da impero a impero, ma in questo caso fra i Venetici e i loro vicini e in tale circostanza il Doge venne chiamato gloriosissimo duca dei Venetici, invece che umile duca della provincia di Venezia, come il suo predecessore. Nel preambolo il patto elencava tutte le città Venetiche che andavano da Grado a Cavarzere i cui confini coincidevano, usque aquas salsas, in pratica con l’area lagunare.

Nel patto, oltre alla consegna reciproca dei predoni, all’impegno reciproco nella guerra contro gli slavi, è curioso che fra gli articoli si vietò nello stesso paragrafo il pignoramento di donne e fanciulle, nonché cavalli e maiali. Inquietante fu la dicitura per l’impegno reciproco a non vendere schiavi nomine cristiani in terra pagana, che dimostra come, sette secoli prima che nelle tele del Carpaccio apparissero gli schiavi neri, già nel IX secolo la schiavitù faceva parte dell’attività mercantile di Venezia, soprattutto perché la stessa dicitura apparve in trattati successivi. E non si trattava di “merce” esotica, ma di schiavi nostrani, a dimostrare quel sentimento di spregiudicatezza che arrivava fino alla crudeltà dei veneziani per l’accaparramento della ricchezza, che cominciò a prendere corpo nell’hinterland veneto e anche più in là nel mondo feudale, preludio di sensazioni miste da invidia e avversione nei confronti di Venezia, anche se la merce umana faceva ampiamente parte del commercio di molti altri stati italiani, Genova in primis.

 

 

Il gloriosissimo Pietro fu ucciso da una (ennesima) congiura e fu eletto Doge Orso, facente parte dell’antica famiglia dei Parteciaci che battè i Saraceni nelle acque dello Ionio e davanti a Grado, respinse gli Slavi sempre davanti a Grado e li disperse, tranne i pirati Narentani che guadagnarono i loro rifugi costieri. La stessa Grado, i cui patriarchi erano in perenne contesa con quelli di Aquileia, ormai sempre di stirpe tedesca e che grazie alle donazioni di Carlo Magno erano diventati grandi feudatari imperiali, dovette fronteggiare nell’877 l’assalto del patriarca Walperto che voleva appropriarsi con la forza dei beni della città, ma fu respinto dalla squadra veneziana che bloccò tutti gli scali friulani. Walperto fu successivamente obbligato dall’imperatore, alla dieta di Ravenna, a rinunciare ad ogni pretesa.

Qui Orso ottenne nell’880 il rinnovo del patto di Lotario, che non venne stipulato solo fra il Doge e l’imperatore, ma anche fra l’imperatore e il Doge, dopo che Orso si era coperto le spalle mandando un’ambasceria a Costantinopoli. Rispettoso di entrambe le potenze imperiali, ora il Doge non dipendeva più da nessuno. Il dogato di Orso si evidenziò anche per le lunghe controversie fra il Papa e il patriarca di Grado riordinando le diocesi lagunari, da cui riuscì a districarsi, nelle quali gli storici pensano che tramite ciò volesse ribadire con fermezza il principio, sempre sostenuto dalla Repubblica di Venezia in tutta la sua esistenza, che i diritti dello Stato erano preminenti, anche in materia di giurisdizione ecclesiastica. Gli si attribuisce l’introduzione dei giudici nell’ordinamento giudiziario come primo nucleo del complesso ordinamento magistratuale Veneziano. A Orso è attribuita anche la bonifica di Dorsoduro, di fronte a Rialto.

 

Doge Pietro Tribuno

 

Alla sua morte gli succedette il figlio che dopo una disputa con il papa avendo occupato Comacchio abdicò, il popolo elesse Pietro Candiano che morì in battaglia contro i pirati Norentani tre mesi dopo, seguì un’altra elezione di popolo e Pietro Tribuno divenne Doge. Nel 899 gli Ungheri si avventarono nelle terre venetiche. Più feroci degli Unni, avevano già compiuto in Italia tremende devastazioni, si erano costruiti imbarcazioni di pelli per invadere le lagune. Ad Albiola nel giorno di Pietro e Paolo, il Doge a capo della sua flotta li decimò costringendoli alla fuga, gli stessi Ungheri che re Berengario, umiliandosi, riuscì ad espellere dall’Italia offrendogli ostaggi e doni. Pietro Tribuno con gran realismo, dopo il pericolo occorso, fortificò la città, stese una grossa catena di ferro attraverso il Canal Grande ed assicurò Venezia con il torrione massiccio del campanile di S Marco, morì nel 910 fra il dolore dei veneziani.

Gli succedette Orso Parteciaco, detto Badoer, che dopo vent’anni di governo si ritirò in un monastero. La successiva scelta cadde su un Candiano, Pietro I, sostenitore della guerra piuttosto che pacifista come il precedente. In Istria il commercio veneziano aveva suscitato ostilità e dissensi contro i mercanti veneziani, il Doge reagì bloccando ogni tipo di commercio, finché gli istriani si accorsero che il danno procurato dal blocco era superiore alla concorrenza veneziana nei loro mercati. Il braccio di ferro si concluse nel 942, quando a Capodistria venne sottoscritto un accordo in cui i cittadini si obbligavano a donare al Doge cento anfore di vino all’anno in cambio della sua protezione. Dall’altro lato, dopo che abitanti di Comacchio avevano aggredito cittadini veneziani, incendiò la città , uccise alcuni degli abitanti, deportò a Venezia i superstiti e non li rilasciò se non dopo disposti ad accettare il predominio veneziano. Con questi interventi Venezia inaugurò una nuova era che continuò finché ne ebbe le forze: imposizione nel mar Adriatico, in seguito chiamato golfo di Venezia, e comportamenti e rotte tali da garantirle un monopolio dei traffici marittimi.

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