Rivoluzioni

1905

Dopo le grandi riforme del primo regno di Alessandro II, seguito dal lungo periodo di cieca reazione, i russi attendevano rinnovamenti liberali che tardavano ad arrivare, mentre il capitalismo cominciò a prevalere anche in Russia parallelamente alla rapida industrializzazione che aveva raggiunto le grandi città dell’impero, se pur con ritardo negli ultimi due decenni dell’800, portando trasformazioni e tensioni sociali quali il sorgere della borghesia e del proletariato.

La borghesia, tradizionalmente debole, riuscì finalmente a emergere e soprattutto con i professionisti cominciò a far sentire la propria voce desiderosa di partecipare alle attività politiche in forma liberale, mentre l’ascesa del proletariato e dei movimenti sindacali furono la radicalizzazione dell’opposizione all’autocrazia. Ma dietro un panorama di intellettuali critici, operai arrabbiati e borghesi scontenti incombeva sempre quell’enorme oceano di contadini abietti e disperati che periodicamente si sollevavano.

 

 

All’inizio del XX secolo i liberali, che formavano l’élite dell’opposizione al regime, fondarono il Partito Costituzionale Democratico (o partito dei cadetti) mentre i movimenti radicali avevano già dato vita a due grandi partiti, il socialdemocratico e il socialrivoluzionario.

I socialdemocratici erano marxisti ed ebbero un ruolo fondamentale nel diffondere le idee del filosofo tedesco in Russia. Nonostante il primo congresso fosse stato fallimentare, nel 1903 a Londra e a Bruxelles si tenne il secondo e il partito divenne realtà, tanto da scindersi subito nei bolscevichi, guidati da Vladimir Il’ič Ul’janov (Lenin) e menscevichi le cui differenze, inizialmente esigue, assunsero con il tempo sempre più importanza.

I socialrivoluzionari non erano marxisti e rappresentavano l’antica tradizione populista del radicalismo russo, avevano una particolare attenzione al mondo contadino, supportando l’idea della socializzazione delle terre contrapposta a quella della nazionalizzazione delle terre dei bolscevichi e un rifiuto del modello occidentale.

Con il nuovo secolo tutta la Russia era in subbuglio fra scioperi, proteste e disordini studenteschi ininterrotti e mentre comitati economici, assemblee di insegnanti e medici esigevano riforme, i socialrivoluzionari applicavano tattiche terroristiche assassinando numerosi funzionari, compresi due ministri dell’interno. Fu in questo scenario che maturò la rivolta del 1905, la cui miccia fu accesa dalla polizia uccidendo 130 manifestanti e facendo parecchie centinaia di feriti.

Il massacro provocò un’ondata di sdegno in tutta la Russia, ma soprattutto ruppe definitivamente l’attaccamento tra lo zar e molti lavoratori che fino a quel giorno gli erano rimasti fedeli. Sotto incessanti pressioni Nicola II aprì alcune timide concessioni, senza riuscire a soddisfare la marea rivoluzionaria che continuava a crescere. Seguirono nuovi scioperi, ribellioni contadine, manifestazioni di opposizione, iniziative rivoluzionarie e agitazioni nelle forze armate (famosa quella che Ėjzenštejn racconta in “La corazzata Potëmkin”).

 

 

Nel mese di agosto lo zar istituì una duma dotata di poteri consultivi non riuscendo però a soddisfare l’opinione pubblica colta, né le masse, tantomeno il movimento rivoluzionario che organizzò un imponente sciopero generale dal 20 al 30 ottobre (definito successivamente come il maggiore, il meglio realizzato e il più decisivo sciopero della storia) durante il quale a Pietroburgo i lavoratori tennero il primo soviet, predicendo un futuro ancora imprevedibile. Nicola II capitolò emanando il “manifesto di ottobre” che garantì alcune libertà civili, una duma dotata di potere legislativo e altre aperture, tentativo di guidare l’impero dei Romanov verso l’inizio di una monarchia costituzionale.

 

Duma

Il governo promulgò le leggi fondamentali per il nuovo ordinamento che pur mantenendo allo zar enormi poteri, conseguì dei diritti anche alla duma, sebbene abbastanza circoscritti e imponendo numerose restrizioni. Nonostante ciò si riconobbe il potere rappresentativo della duma trasformando la Russia da paese privo di rappresentanza a uno il cui voto era esteso a (quasi) tutti i cittadini di sesso maschile.

La prima legge elettorale, realizzata dal governo, era costruita per favorire le rappresentanze delle campagne a discapito dei centri urbani, ritenendo che le prime fossero più fedeli allo zar. Invece, nonostante i socialdemocratici e i socialrivoluzionari avessero boicottato le elezioni, la destra governativa si trovò in inferiorità numerica, con il partito dei cadetti in larga maggioranza. Iniziarono subito i dissidi e gli scontri con il governo, tanto che dopo 73 giorni e 40 sessioni Nicola II, che aveva mantenuto il potere di sciogliere la duma, la sciolse.

 

Duma di Pietrogrado

 

Alle seconde elezioni il governo fece pressioni in tutto l’impero adottando ogni mezzo per assicurarsi la maggioranza, ma nonostante i cadetti avessero preso qualche seggio in meno, avendo partecipato attivamente questa volta i partiti della sinistra che raddoppiarono i deputati, la destra governativa anche qui rimase gruppo minoritario e la duma si ritrovò di nuovo in una situazione di impasse con il potere centrale, finché fu sciolta dopo tre mesi.

Lo stesso giorno Nicola II e i suoi ministri cambiarono in modo arbitrario e anticostituzionale la legge elettorale tagliando la rappresentanza contadina, quella degli operai e aumentando in modo sproporzionato la rappresentanza della nobiltà, mettendo in tal modo il parlamento sotto il controllo del governo, così che la successiva duma durò fino al termine naturale dei cinque anni nel 1912, mentre la quarta fu sciolta con la rivoluzione del 1917, che scoppiò poco prima della sua scadenza.

La strada era quindi aperta per le riforme governative, frutto del primo ministro Stolypin fino al suo assassinio, ultimo grande esecutore dell’epoca imperiale. Il suo piano aveva come primo punto d’arrivo la “pacificazione”, parola con la quale intendeva l’eliminazione (fisica) dei rivoluzionari, che con mezzi spietati riuscì relativamente ad attuare dando alla Russia una parvenza di calma apparente. In secondo luogo promosse una rilevante riforma agraria, distribuendo terre ai contadini, che pur nei limiti della sua contrarietà all’esproprio (se pur retribuito) delle proprietà dei nobili, contribuì indubbiamente sulle condizioni dei braccianti che furono un po’ più eque rispetto agli altri gruppi sociali.

 

Doppia visione

A questo punto ci sono due visioni storiche di pensiero. La prima mette in rilievo il paese che aveva voltato le spalle all’autocrazia e si stava avviando verso un processo liberale, confermato dai cambiamenti portati alla legge elettorale la quale stabiliva in modo implicito che la duma non poteva più essere abolita, e che il potere legislativo riformato stava acquisendo un ruolo di primo piano accrescendo il prestigio sia interno che esterno. Inoltre questa teoria sottolinea che la società russa era molto più emancipata e democratica della cornice costituzionale a cui era sottomessa e seppur persistendo enormi problemi di arretratezza economica e di povertà nelle masse, grazie all’industrializzazione da un lato e la riforma agraria dall’altro, sarebbero arrivati ad una soluzione. Alla fine la Russia aveva solo bisogno di tempo e di pace.

 

Kandinskij – Giallo, rosso, blu.

 

La seconda, all’opposto, si rifiuta anche di definire costituzionale questo periodo, chiamandolo pseudocostituzionale perché in realtà il governo non era chiamato a rispondere di fronte alla duma e ciò che fu il carattere originale del cambiamento, venne cancellato con la modifica della legge elettorale e dalla politica reazionaria e autoritaria di Nicola II. Inoltre, dal terrorismo politico di destra e sinistra, la russificazione e i continui provvedimenti straordinari che caratterizzavano il paese, non si poteva immaginare quanta strada dovesse ancora percorrere la Russia per essere definito un paese progressista, liberale e rispettoso delle leggi. Oltre a ciò, è opinione che all’ineguaglianza non si sarebbe riusciti a rimediare con la (poca) terra distribuita ai contadini, dalle poche industrie protette, in un clima di radicalizzazione degli operai e con un governo legato ai latifondisti (nobiliari) che non fu mai intenzionato a varare reali riforme. Quindi la Russia si stava inesorabilmente avviando verso la catastrofe.

E mentre i primi ritengono che l’impero russo sia stato rovinato dalla prima guerra mondiale, i secondi sostengono che la guerra abbia dato solo la spinta ad una struttura ormai barcollante facendola crollare. Sicuro è che la guerra fu un pesante fardello non solo come paese più colpito in termini di perdite di vite umane.

Gli uomini mobilitati furono 15.500.000, i morti 1.650.000, i feriti 3.850.000, e i prigionieri 2.410.000. Con inadeguatezza di mezzi, munizioni e trasporti, un numero di profughi incalcolabile, scarsità di viveri e combustibile nella popolazione civile, unita all’inflazione elevatissima, venne evidenziata per l’ennesima volta l’incapacità e l’inettitudine dei funzionari e dei ministri imperiali. Ma in un governo che rifiutava di imparare qualunque lezione e si opponeva ottusamente a qualsiasi liberalizzazione che facesse più affidamento sul popolo russo, il culmine fu toccato quando Nicola II delegò il potere alla reazionaria zarina Aleksandra e tramite lei a Rasputin, per assumere il comando del fronte.

 

Governo provvisorio e soviet

L’8 marzo 1917 Pietrogrado insorse per mancanza di pane e carbone, le milizie inviate due giorni dopo a reprimere la sommossa fraternizzarono con gli insorti e nella capitale non c’erano altre truppe disponibili perché tutte occupate in guerra. Un battaglione fedele avrebbe potuto salvare il potere imperiale, invece, mentre lo zar era al fronte, l’autorità cadde senza emettere alcun gemito e diversi funzionari si nascosero. La popolazione di Pietrogrado si rivolse come guida alla duma, i cui componenti, ignorando un decreto imperiale di scioglimento, crearono il 12 marzo un governo provvisorio composto da loro membri e personaggi pubblici di primo piano, che rispecchiava la composizione e il punto di vista del blocco progressista all’interno della duma stessa, in cui i cadetti erano la maggioranza.

Nicola II si sottomise all’inevitabile abdicando a nome suo e del figlio Aleksej a favore del fratello Michele, il quale abdicò rimettendosi alla decisione dell’assemblea costituente, ovvero il governo provvisorio in attesa della duma. Fu così che terminò il dominio dei Romanov in Russia.

Il governo provvisorio fu immediatamente riconosciuto dagli USA e da diverse democrazie occidentali, ma nonostante l’accettazione e il vasto riconoscimento si trovò subito a dover competere con un pericoloso rivale interno, il soviet dei deputati, degli operai e dei soldati di Pietrogrado (che fu istituito sul modello di quello del 1905) con il quale aveva precedentemente concordato la propria installazione.

Composto inizialmente da socialisti moderati il soviet non cercò di strappare il potere, ma fece sentire concretamente il proprio peso sia all’interno della duma che fuori agendo in modo autonomo e spesso in contraddizione con il governo. Sullo stesso esempio, altri soviet cominciarono a formarsi in Russia, tanto che al primo congresso, nel quale parteciparono 350 organismi locali, 285 socialrivoluzionari, 245 menscevichi e 105 bolscevichi, venne eletto un comitato esecutivo, il supremo organismo dei soviet, i quali erano molto più vicini alle masse scontente di quanto lo fosse il governo, godendo pertanto di immediato e vasto seguito.

 

Soviet di Pietrogrado

 

Il governo provvisorio rimase in carica otto mesi, diede prova di pregevole liberalismo quanto di totale incapacità nel risolvere i problemi. Promosse democrazia e libertà, tutti i cittadini furono dichiarati uguali di fronte alla legge, libertà di religione, parola, stampa, assemblea, sciopero e organizzazione sindacale. Dichiarò indipendente la Polonia, autonomia alle minoranze etniche e introdusse la giornata lavorativa di otto ore.

Tuttavia continuò la guerra senza rendersi conto del disfattismo dilagante e l’evidenza che l’esercito non riusciva a reggere la prova delle armi. Anche se profondamente convinto che le terre appartenevano ai contadini, non riuscì a emanare una riforma agraria, demandandola all’assemblea costituente lasciando in tal modo i contadini insoddisfatti. Fu incapace di frenare l’inflazione, di ripristinare la rete dei trasporti e di intervenire sulla produzione industriale, lasciando che l’economia continuasse il suo inesorabile declino. Nel complesso fu incapace di ammettere le condizioni catastrofiche del paese e pensò che i russi, come i francesi ai tempi della rivoluzione, avrebbero combattuto meglio, ora che erano uomini liberi.

La gran parte dei fallimenti furono dovuti alla scarsa autorità ed il carattere di “provvisorio” fu un elemento di ulteriore debolezza. Inoltre se le decisioni sostanziali venivano demandate all’assemblea costituente, di cui la maggioranza liberale era profondamente convinta, l’errore più grossolano fu quello di non istituire in tempo tale assemblea, ma solo quando i bolscevichi avevano ormai preso il controllo del paese.

 

Bolscevichi

Il 16 aprile alla stazione Finlandia, assieme ad alcuni compagni, scese da un treno Lenin, a cui i tedeschi avevano concesso di attraversare la Germania su un vagone piombato, convinti che la sua presenza potesse influire a loro favore sullo sforzo bellico russo. Salì su un autoblindo (come Eltsin, in frangenti diametralmente opposti, 74 anni dopo) e prese immediatamente una posizione radicale estremista, in contrasto con l’idea prevalente all’interno dei soviet che era di piena collaborazione e soddisfazione con il governo provvisorio. Prefisse la proclamazione della pace, la confisca delle terre nobiliari per i contadini, il controllo delle fabbriche a comitati di operai e il potere ai soviet.

 

Frattanto il governo, in preda a forti tensioni dovute alla situazione sul fronte che si faceva disastrosa a causa della grande confusione, mancanza di disciplina e diserzioni, al problema delle minoranze che spuntavano ovunque come funghi, ai contadini che cominciarono dappertutto ad appropriarsi delle terre senza aspettare alcuna riforma, continuava il pericoloso gioco di rimandare tutto all’assemblea costituente, finché il malumore diffuso portò il 16 e il 18 luglio soldati e marinai assieme alla popolazione e ai bolscevichi, nel tentativo di impadronirsi del potere a Pietrogrado.

Fu una ribellione minacciosa e di ampie dimensioni che non andò in porto solo perché non ebbe l’avvallo del soviet che ritenne prematura l’azione. Seguì una reazione, per cui molti esponenti radicali furono incarcerati o fuggirono, come lo stesso Lenin che andò in Finlandia dove continuò a dirigere il partito. Il capo del governo si dimise, ma l’avvicendamento non risolse nulla anche aumentando il numero dei ministri di sinistra nell’esecutivo.

E mentre nel paese si incrementava la spaccatura fra le proposte socialiste e quelle non socialiste, i sostenitori di quest’ultime fecero quadrato attorno al comandante in capo Generale Lavr Georgievič Kornilov di origine cosacca, che pur essendo un democratico ambiva a ristabilire l’ordine, considerando nefaste le attività dei soviet, prendendo la decisione di inviare l’esercito a Pietrogrado. L’iniziativa fu ritenuta una mossa antirivoluzionaria e la popolazione della capitale tra il 9 e il 14 settembre si mobilitò alla difesa.

Alla fine le milizie di Kornilov avendo dovuto affrontare uno sciopero ferroviario, un’opposizione generalizzata e a corto di rifornimenti, finirono nello sconforto senza mai arrivare in città, ma l’episodio fornì un notevole vantaggio ai bolscevichi che si erano armati a difesa di Pietrogrado, avevano liberato i prigionieri politici e continuarono a mantenere il predominio militare anche dopo la fine della minaccia, acquisendo sempre più aderenti fra le masse che si stavano radicalizzando. Il governo andò ancora in crisi e si riformò per l’ultima volta il 25 settembre con 10 socialisti e cinque non socialisti, mentre Kornilov fu arrestato con altri generali, procurando ulteriore scoraggiamento nell’esercito.

Nonostante il comitato esecutivo continuasse ad essere dominato da socialisti moderati, dopo le ultime azioni i bolscevichi si assicurarono la maggioranza dentro il soviet di Pietrogrado e quello di Mosca, con Lenin dalla Finlandia che esortava alla conquista del potere. Tornò a Pietrogrado il 23 ottobre, convincendo il comitato esecutivo, nonostante i suoi colleghi di partito ritenessero la Russia impreparata a una rivoluzione bolscevica. Al suo fianco ebbe Lev Davidovič Bronštejn (Trockij) uomo di notevole intelligenza, con elevate doti oratorie e organizzative, già dal 1905 ai vertici del soviet di Pietroburgo.

 

 

Il 7 novembre le truppe rosse occuparono i punti strategici della capitale, il mattino seguente (in un blitz che Brodskji definì più che rivoluzione un colpo di stato) la guarnigione di Pietrogrado, i marinai di Kronštadt e gli operai della guardia rossa, sotto la guida dei bolscevichi, assaltarono il palazzo d’inverno, debolmente difeso dagli allievi delle scuole militari e da un battaglione femminile, arrestando i membri del governo e dando inizio al governo sovietico a Pietrogrado e in tutta la Russia.

 

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