Quello che non ti uccide – Prima parte

Ci sono tante cose che volevo scrivere (lo so, sto diventando pigro) ma ho pensato che i primi giorni dell’anno forse era meglio rivedere cosa ci siamo lasciati alle spalle.

Arrivati alle elezioni, volute da Berlusconi che ha scelto il momento migliore (per lui, non certo per il paese) per far cadere Monti alle urne si sono presentati sostanzialmente quattro blocchi: il solito centrosinistra, il centrodestra, l’ex premier Monti con a ruota Casini ed il Movimento 5 Stelle.

Il risultato è storia e non credo valga la pena rigirare il coltello nella piaga:

  • Monti si è suicidato politicamente per salvare Casini (il quale, visti gli scarsi risultati, ha deciso di rottamare Monti stesso e tornare a far politica in prima persona)
  • Berlusconi, dato per morto, per poco non ri-vinceva le elezioni ma, per uno scherzo del destino, si piazza secondo
  • Ad un pelo dall’autosufficienza al Senato (contando anche sull’appoggio di Scelta Civica) il centrosinistra che, da grande favorito, finisce per ottenere ben meno di quanto si aspettava e si trova ad avere la maggioranza assoluta alla camera ma un numero insufficiente di senatori
  • Quarto incomodo il Movimento 5 Stelle che dopo aver promesso mille euro al mese a tutti anche se non si lavora (proposta poi rivista, ritoccata, ricalcolata, rimpicciolita ed infine buttata via prima che la gente mettesse mano ai forconi) ed aver fatto una campagna elettorale feroce contro il PD si ritrova con una discreta pattuglia parlamentare, sufficiente per garantire al PD i numeri per formare un governo.

 

All’inizio si pensava ad una certa affinità fra centrosinistra e Movimento 5 Stelle che, almeno sulla carta, si presentava come una versione più radicale della sinistra… invece a poco a poco che passavano i giorni le cose prendono una piega diversa e ben peggiore. Grillo (che in campagna elettorale si presentava come “semplice portavoce” o “megafono”) prende in mano il partito e si mette a dettare regole e diktat.

Tramonta quasi immediatamente la speranza di un accordo, affogata dai modi e dagli attacchi del comico genovese tutti puntati contro il partito di centrosinistra. Grillo, per mettere le cose in chiaro una volta e per tutte pubblica un articolo in cui dice chiaro e tondo che chi gli ha dato il voto sperando che facessero un accordo con il PD ha sbagliato a votarli.

Il segretario del PD comunque tenta di trovare un accordo: tergiversa quando gli si chiede cosa faranno, lascia che i tempi si dilatino e fa il possibile per aprire un qualsiasi canale di comunicazione con i parlamentari del Movimento… manda delegazioni per incontrare i gruppi del Movimento ed agisce con la massima cautela, in pratica cerca di capire che cos’è il Movimento 5 Stelle e se sia possibile averci un dialogo.

 

L’elezione dei presidenti delle camere.

Con un certo garbo Bersani prova a favorire il movimento permettendogli di avere un questore ed azzarda un accordo: consegnare la presidenza della Camera ad un parlamentare del Movimento in cambio del supporto a Pietro Grasso (persona serissima) alla presidenza del Senato. Bersani viene pubblicamente sbeffeggiato da Grillo sul suo blog ma, nonostante tutto, aspetta fino all’ultimo momento utile prima dirottare i suoi voti su una parlamentare di SEL : Laura Boldrini, già portavoce dell’UNHCR, a scapito del candidato del Movimento Roberto Fico.

Senza un accordo al Senato intanto la lotta si fa serrata  fra il candidato di centrosinistra Grasso e quello di centrodestra Schifani; solo all’ultimo minuto alcuni franchi tiratori (che dovranno, per volontà di Grillo, ammettere pubblicamente il “tradimento” del candidato ufficiale Orellana e scusarsi con l’elettorato) votano Grasso. Il risultato netto è che l’intransigenza e la volontà di non trattare col centrosinistra neppure per le cose più ragionevoli è già costato, a meno di un mese dalle elezioni, la poltrona della terza carica dello stato. In compenso la bocciatura di Fico spiega perché il gruppo alla camera sia così critico (scusate per l’eufemismo) nei confronti del presidente Boldrini.

 

L’incomunicabilità.

Non che fuori dal parlamento le cose vadano meglio; giornalmente Grillo si spende in attacchi (diretti  o meno) contro il segretario Bersani e tutto il Partito Democratico ed ogni possibile proposta da parte del centrosinistra ottiene come risposta solo frasi sibilline ed uscite (tipicamente via tweet) in cui Grillo chiede ai democratici di fare questo o quello (rinunciare ai finanziamenti, dimettersi, votare qualcuno piuttosto che un altro) in cambio di non meglio specificate aperture che, ovviamente, non saranno mai quantificate né discusse nel dettaglio; in pratica Grillo evita il dialogo.

A questo si aggiunge una “campagna armata” in cui i grillini (epiteto che descrive gli attivisti più ferventi) attaccano verbalmente chiunque non risparmiando ingiurie ed improperi… ovviamente il soggetto preferito è l’unico partito che si rivolge a loro (il PD) mentre gli altri (PDL e Scelta Civica, ma anche SEL, Lega Nord e Fratelli d’Italia) vengono per lo più ignorati o lasciati in pace.

 

Si cerca di formare un governo.

I toni si fanno roventi ed a trarne beneficio è il terzo incomodo: Berlusconi è furente per non essere riuscito ad agguantare il premio di maggioranza per una manciata di voti ma ha ancora una possibilità per tornare al governo: l’assurda inflessibilità di Grillo gli fa gioco e la situazione dei conti rende necessario un governo. Berlusconi agisce su due fronti, da un lato preme su Napolitano (Presidente della Repubblica a fine mandato) perché si formi un governo e dall’altro si presenta come un mite pacificatore che si mette a disposizione per evitare l’ingovernabilità.

Il segretario del PD ha promesso una legislatura di cambiamento ed è convinto di poterla avere; non vuole avere nulla a che fare con Berlusconi e col PDL ed è sicuro che la “svolta” per il paese possa esserci solo con un governo che prenda seccamente le distanze da Berlusconi e dai suoi, nel caso anche alleandosi con quegli stessi parlamentari che l’hanno apertamente osteggiato.

In quel frangente Napolitano svolge le consultazioni di rito e chiama ad uno ad uno i portavoce di tutti i gruppi per sondare il terreno e vedere, nei fatti, a chi affidare l’incarico di formare un governo. Ovviamente gli incontri al Colle sono infruttuosi: il Movimento 5 Stelle si presenta con tre persone anziché due, oltre al rappresentante della camera (Federica Lombardi) e quello del senato (Vito Crimi) arriva anche Beppe Grillo: il trio dopo una lunga conversazione a porte chiuse spende due parole di circostanza ma non dice chi ha indicato come Presidente del Consiglio ed anzi fa intendere di non aver fatto nessun nome, a loro dire Napolitano dovrebbe dare l’incarico a loro e solo in una seconda fase loro dovrebbero fornire i nomi (in aperto contrasto con il dettato costituzionale).

Alla fine delle consultazioni l’unica cosa che Bersani riesce ad ottenere è un mandato esplorativo: la possibilità di parlare coi rappresentanti degli altri gruppi parlamentari per cercare convincerli a trovare un accordo di massima. Il Movimento 5 Stelle accetta di incontrare il candidato in pectore ma chiede ed ottiene invece che l’incontro venga ripreso e trasmetto in diretta streaming. Bersani sa che si sta giocando tutto e per questo prepara una lista di punti condivisi fra PD e M5S sulla base dei quali chiedere un accordo di governo. Il PD s’impegnerà a mantenere quei punti in cambio del supporto dei parlamentari di Beppe Grillo.

Si saprà già un ora prima dell’incontro che i parlamentari Cinque Stelle si sono riuniti (ovviamente a porte chiuse) per concordare la linea e che la decisione è stata presa ancora prima di sedersi al tavolo: i “grillini” non vogliono avere niente a che fare con il Partito Democratico.

Bersani va avanti lo stesso e si presenta insieme ad Enrico Letta, i due incontrano i rappresentanti del Movimento 5 Stelle e mettono in chiaro la loro posizione. Il segretario è chiarissimo e fa capire che quella è probabilmente l’unica possibilità che avranno per concordare qualcosa; mette sul piatto anche le sue dimissioni “se servono” ma alla fine non c’è nulla da fare… nonostante gli sforzi le cose andranno come tutti si aspettavano: gli sgarbatissimi rappresentanti del movimento si comportano in una maniera inqualificabile (da “ci sembra di essere a Ballarò” a “siamo noi le parti sociali”) e non provano neanche a fare una contro-proposta, non gli interessa governare col PD e non gli interessano i punti in comune, l’intera operazione è un modo come un altro per umiliare l’odiato segretario. La registrazione dell’incontro è disponibile su youtube.

 

La reggenza Monti.

Forte della situazione che s’è venuta a creare per il voto al Senato Bersani vorrebbe presentarsi alle camere e cercare di strappare la fiducia sperando nei franchi tiratori del Movimento 5 Stelle. Lo scontro è quindi fra Bersani (che non vuole fare un governo con il PDL) e Napolitano (che non vuole rischiare l’ingovernabilità). In questa situazione Napolitano non vuole rischiare di fare un salto nel buio: se il candidato del centrosinistra non avesse la fiducia al senato infatti non si potrebbe più riesumare il governo Monti e ci sarebbe l’ingovernabilità.

I Cinque Stelle intanto continuano a ripetere che, fallito il tentativo di Bersani spetta a loro (non si capisce su quale base) tentare di formare un governo; Grillo, che si nega ai giornalisti italiani ma si concede a tutti quelli stranieri, dice che il Movimento ha pronti i nomi per un governo “a cinque stelle”; Berlusconi nel suo piccolo si frega le mani.

Il Presidente della Repubblica si trova alle strette ed è quindi costretto a riesumare il dimissionato governo Monti per il disbrigo delle pratiche di ordinaria amministrazione mentre PD e PDL rifiutano di formare le commissioni permanenti, cosa che in pratica paralizza l’attività parlamentare.

Per mascherare l’impasse il colle decide di formare una commissione di “saggi” che cerchino di trovare un accordo; un modo come un altro per arrivare almeno all’elezione del successivo Presidente della Repubblica senza troppi scossoni mentre il dimesso Monti sconta il suo purgatorio personale tornando ad essere presidente del consiglio solo formalmente e sapendo bene che quell’incarico non sarà mai più suo.

 

L’elezione del Presidente della Repubblica.

Questa “reggenza” avrà comunque vita breve, è destinata a chiudersi con la successiva elezione del Presidente della Repubblica: è proprio lì che le cose cominciano ad andare male, Grillo gioca d’anticipo e fa votare i possibili candidati dalla “rete” (cioè da circa 20.000 iscritti di lunga data al suo blog), voto ripetuto perché la prima volta (dicono loro) c’è stato un “attacco hacker”. Il nome che dopo rinunce e rimpalli esce fuori è quello di Stefano Rodotà, già compagno (nonché avversario) di Giorgio Napolitano.

Si saprà in seguito che una delegazione del PD ha tentato d’intavolare una discussione con il Movimento 5 Stelle (a dirlo è il capogruppo al Senato Zanda) per concordare un candidato comune: nulla da fare, i parlamentari di quel movimento sono impuntati sul nome di Rodotà. La sera prima del voto appare anche un video di Grillo insolitamente calmo che chiede al PD di votare Rodotà; alcuni parlamentari del gruppo fanno capire che si potrebbe astrattamente iniziare a discutere di un successivo accordo nel caso in cui venisse votato l’ex garante della privacy.

A sorpresa invece Bersani s’accorda con il centrodestra per un candidato condiviso (non ne avrebbe avuto bisogno, visti i numeri PD e SEL potevano concordare il nome con Scelta Civica): l’ex presidente del Senato Marini. I parlamentari del PD sono furenti per quest’accordo preso alle loro spalle ed anche l’elettorato non capisce il perché di questa decisione: per molti (incluso il sottoscritto) è la prova che Bersani ha rinunciato alla sua idea ed ha accettato d’allearsi con Berlusconi.

Alcuni tesserati del PD occupano, per protesta, diverse sedi (OccupyPD) e molti parlamentari annunciano un voto contrario (in questo frangente è particolarmente critico Civati). Bersani si difende ricordando che il Presidente della Repubblica dev’essere un garante dei partiti e come tale dev’essere eletto con la più ampia maggioranza… è evidente che ha perso il polso del partito.

Niente da fare, Marini non riesce a raggiungere il quorum per essere eletto e la sua candidatura viene rapidamente ritirata. Il Movimento 5 Stelle continua a votare indefessamente Rodotà mentre il PD, oramai logorato , si riunisce per capire che fare. Alla fine Bersani decide di candidare la figura più autorevole del PD: il suo fondatore Romano Prodi. Il PDL denuncia il tradimento dell’accordo, Scelta Civica si dice possibilista. Il Movimento 5 Stelle continua a ribadire il nome di Rodotà che, nonostante l’entrata in scena dell’ex presidente del consiglio decide di non ritirare la propria candidatura.

Sembra la volta buona, Fassina fa sapere che diversi membri di Scelta Civica sono disposti a votare per Prodi… e invece le cose vanno diversamente: Prodi viene tradito da un centinaio di parlamentari del Partito Democratico stesso ed il risultato è così disastroso che il suo nome viene frettolosamente ritirato; un esame del voto a bocce ferme dimostrerà che Sinistra Ecologia e Libertà ha votato per Prodi (i parlamentari di Vendola avevano contrassegnato il voto) mentre Scelta Civica (probabilmente su suggerimento di Casini) ha disatteso l’accordo per vedere quanto fosse “forte” la determinazione dei democratici… uno “scherzo” da prete.

Il segretario del PD si trova a dover affrontare la disfatta della sua linea “aperturista” nei confronti di Grillo e delle sue scelte (che hanno amareggiato anche Prodi, tirato per la giacca e costretto ad una figuraccia), la soluzione è una ed amarissima: Bersani si deve dimettere ma non prima d’aver consegnato un nuovo Presidente della Repubblica al paese: occorre un candidato forte.

Quella sera stessa Grillo appare sul palco (è in corso la campagna elettorale in Friuli-Venezia Giulia) ed esulta per le dimissioni dell’acerrimo avversario.

Il candidato “unitario” verrà quindi trovato, non è (come vorrebbe Grillo e come pensano molti elettori) Rodotà ma lo stesso Napolitano, Presidente della Repubblica uscente che accetta di essere rieletto in cambio di alcune garanzie, fra cui la formazione di un governo stabile fra PD e PDL con dentro anche Scelta Civica.

Grillo ed i suoi sono furenti, ritengono che gli venga tolta la “vittoria” che s’erano meritati, volevano Rodotà ed invece a larghissima maggioranza viene eletto Napolitano; il senso è chiaro, non ci sarà alcun accordo fra PD e M5S, l’elezione di Napolitano è un segnale inequivocabile che il PD dovrà accordarsi col PDL, che gli piaccia o no. Molti scendono in piazza, ed anche Grillo si dirige verso Roma per guidare la protesta. Rodotà, raggiunto per telefono, si dissocia dalla piazza e condanna qualsiasi azione violenta o contraria alle istituzioni: il comico genovese capisce d’essersi spinto un po’troppo oltre e rinuncia alla piazzata.

Napolitano viene rieletto ed a Bersani succede Enrico Letta il quale, giudiziosamente, asseconda la volontà del capo dello Stato, di parte del PD e del PDL formando un esecutivo che spazia da PD al PDL. Diversi partiti, fra cui Sinistra Ecologia e Libertà e Fratelli d’Italia si chiamano fuori e vanno all’opposizione insieme all’onnipresente Movimento 5 Stelle. Nasce il governo Letta.

I termini della rielezione di Napolitano sono enunciati da lui stesso nel suo “primo” discorso: ha accettato di restare al colle in di un drastico cambiamento di rotta, il PD in forza della sua maggioranza alla camera ha degli obblighi ben precisi nei confronti del paese e non può più permettersi di disattenderli.

 

La difficile convivenza.

I mal di pancia nel PD non tardano a farsi sentire, alcuni non hanno gradito la pugnalata a Prodi (a bocce ferme si capirà se non il chi almeno il perché di quel gesto : per punire Bersani, reo d’aver fermato il parlamento per correre dietro ad una chimera), altri non riescono a digerire la convivenza con il PDL e quelli che restano sono sotto pressione a causa dei continui attacchi mossi da Grillo (che ha un chiodo fisso: il PD) a cui non sanno ancora come rispondere. A più riprese torna a farsi sentire anche Renzi: sconfitto da Bersani alle primarie anziché approfittare della debolezza del partito per cercare di tornare alle urne appoggia la scelta di Napolitano e chiede ai democratici di lasciarsi alle spalle questa pagina nera ed iniziare a lavorare per il bene del paese.

Al di fuori delle grandi parole comunque quella del governo di compromesso si presenta subito come una legislatura al ribasso, in pratica il PD è costretto a rinunciare a qualsiasi velleità riformista e trasformarsi in una specie di governo contabile (stile Monti) che fa quadrare i conti, gestisce le finanze del paese e si occupa quasi esclusivamente dell’ordinaria amministrazione.

In quello che sembrava il momento più basso per i democratici arriva però un segnale positivo, le elezioni in Friuli-Venezia Giulia incoronano la candidata dei democratici Debora Serracchiani che, nonostante la situazione del PD “nazionale” riesce ad imporsi anche su Grillo, che già considerava il Friuli-Venezia Giulia come “la prima regione a cinque stelle” ed invece è costretto a ritirarsi con un ben magro risultato (con un drastico calo rispetto al dato nazionale).

 

Conosciamo i grillini.

Sì perché mentre il parlamento è alle prese con la politica nazionale il Movimento 5 Stelle ha iniziato a farsi conoscere e, seppure con il timore tipico di chi approccia qualcosa di completamente nuovo e diverso, i giornali iniziano a parlare anche del nuovo partito. Le notizie, manco a dirlo, non sono delle migliori. La gente, dopo averli visti e sentiti inizia a prendere, sempre più in fretta, le distanze.

Ora mi dovrete scusare, qui devo un attimo mettere in pausa il racconto degli eventi ed introdurre un argomento a sé stante: i parlamentari del Movimento 5 Stelle. Non è che voglia rompere la continuità, è che a questo punto per capire cosa succederà bisogna approfondire questo aspetto.

Non erano passati che pochi minuti dalle elezioni che già qualche parlamentare iniziava a “farsi conoscere”: è il caso della senatrice Marta Grande, portata in trionfo quale “volto nuovo” di una Italia giovane che vuole cambiare dall’alto delle sue due lauree che però fra l’intervista a La7 ed un minimo di “ricerche” sul campo si rivela abbastanza acerba. E’il caso dell’onorevole Bernini, un parlamentare che riceve i giornalisti e gli parla delle teorie di Zeitgeist. E’il caso dell’onorevole Sibilia che, incurante delle continue figuracce, continua a pubblicare sul suo sito rivisitazioni “liberal” della costituzione.

Per evitare che la situazione precipiti arriva quindi un “ordine di scuderia” da parte di Grillo: i parlamentari sono diffidati dal farsi vedere o sentire in TV pena l’espulsione, bisogna evitare che questi tizi si facciano conoscere. A dare l’esempio ci penserà Mastrangeli che, causa presenzialismo, verrà buttato fuori dal gruppo parlamentare senza troppe cerimonie e costretto a ripiegare verso il gruppo misto.

Famoso l’obbligo di non partecipare ai talk show o al massimo parteciparvi in differita, come fa il senatore Crimi che va da Vespa a registrare un intervista perché, in base ai regolamenti del gruppo, non può essere presente con gli altri… questa repentina chiusura nei confronti dei mezzi d’informazione dapprima verrà vista come un segnale di cambiamento ma stancherà presto l’elettorato, che dopo aver scommesso pesantemente su questi ragazzi non solo non avrà modo di sapere che pensano ma si troverà costretto a cercare indizi della loro posizione sul blog di Grillo, dove a parlare è quasi esclusivamente il capo.

A questo si aggiunge una serie imbarazzante di gaffes, il continuo recriminare su questioni minori (storico il tweet della deputata Lombardi in pena per aver perso degli scontrini), le “pulci” su quanto si spende per stare a Roma ed alcune posizioni ed uscite decisamente impopolari (vedasi quella del fascismo che “ha fatto anche cose buone”).

Ancora oggi i parlamentari del Movimento 5 Stelle ci regalano, quasi quotidianamente, uscite degne di mettersi le mani fra i capelli come un tweet in cui si asserisce che le sirene esistono o il ricalcolo delle pensioni che annuncia trionfalisticamente cinquemila euro al mese:

Manco a dirlo la sbadata parlamentare che s’era dimenticata che la pensione va presa ogni mese e non una tantum (per cui bisognava comunque dividere per 12) colta sul fatto ha pensato bene di difendersi chiudendo l’account facebook ed annunciando che il commento era stato scritto da un “hacker”.

Lo so che questa è un enorme digressione ma la mole di uscire, errori, gaffes, posizioni antitetiche col loro programma (a titolo d’esempio si pensi a quando hanno invocato l’oscuramento di un sito perché riportava la loro corrispondenza) e figuracce è tale che dovessi scriverle tutte ci potrei fare una collana di libri: queste sono solo alcune e rappresentano una minima parte della “produzione” a Cinque Stelle, se ne cercate altre le abbiamo trattate tutte (o quasi) nella lunga storia di questo blog.

A migliorare (o peggiorare) le cose ci pensano poi gli addetti che vengono mandati ad occuparsi della “comunicazione”: ex blogger grillini della prima ora (originariamente gente come Martinelli, Messora e “Nik il nero”) il cui compito, dicono gli altri parlamentari, è quello di sorvegliare gli eletti del Movimento di Grillo onde evitare che si mischino (o anche solo comunichino) con gli altri. Alcuni di loro a quanto pare hanno portato la cosa all’estrema conseguenza di girare per i salotti delle rispettive camere a mo’di ronda e, a quanto emerge da alcuni carteggi, non si tratta di fiorellini di campo ma di gente che non si fa problemi ad alzare la voce e/o attaccare verbalmente chi gli manca di rispetto.

A questi si aggiunge Rocco Casalino, dimenticato partecipante alla prima edizione del Grande Fratello (sì, c’è scritto GF1 sui suoi biglietti da visita) e fulminato sulla via di Genova che si occupa di gestire l’immagine pubblica dei parlamentari (con scarso successo a giudicare dai risultati).

Dopo la formazione del governo.

Torniamo ai fatti. Come dicevamo nonostante il poderoso colpo il Partito Democratico resiste e, a dispetto del continuo “si spacca, si spacca” invocato dai grillini, riesce a trovare una specie di equilibrio. Il partito si schiera, unito e per una volta coeso, dietro al nuovo segretario e prende molto responsabilmente il ruolo di supporto dell’esecutivo. Letta da parte sua parte (forte di una maggioranza estesa e del pieno supporto del Presidente della Repubblica) con grandi ambizioni “istituzionali”: vuole cambiare la legge elettorale e riformare la costituzione.

Quando il 28 aprile un disoccupato apre il fuoco su degli agenti a Piazza Colonna tutti capiscono che il suo obiettivo originario era quello di raggiungere le stanze in cui Napolitano nominava l’esecutivo. Come verrà chiarito in seguito pur essendo un disoccupato Preiti non è un disperato squilibrato, la perizia dice:

Preiti mostra caratteristiche di personalità con larvata costante conflittualità nei confronti dell’ambiente (soprattutto “classe politica”, “Stato” e i suoi rappresentanti) e di un esame della realtà molto immaturo e superficiale. Anziché un autentico desiderio di morte si rileva una “aggressiva ricerca” di riconoscimento pubblico. Gli eventi oggetto di processo, quindi, non sono sembrati condizionati da una qualche patologia che abbia valore sul piano psichiatrico forense, capace cioè di limitare la capacità di intendere e di volere, ma da un fortissimo senso di rivalsa nei confronti “delle Istituzioni”, “dei politici” , dei loro rappresentanti, con l’immaturo desiderio di trasformarsi in una sorta di eroe vendicatore, pubblicamente riconosciuto.

E’chiaro, comunque, che la situazione è tesa e l’unico modo per distenderla è fare in modo che la politica non sia più al centro di ogni dibattito ed in prima pagina su ogni giornale.

A peggiorare le cose migliaia di attivisti del Movimento 5 Stelle hanno iniziato ad invadere le aree commenti di tutti i siti web italiani (a partire dai siti web dei quotidiani) inondandoli di propaganda ed attaccando selvaggiamente chiunque osi criticarli; su Giornalettismo appare anche un tweet dell’onorevole Sarti che ne dirige alcuni verso un articolo “scomodo”… insomma il Movimento 5 Stelle estende l’offensiva su internet.

Nel contempo Letta, eletto Presidente del Consiglio, deve abbandonare la sua carica di “reggente” nel Partito Democratico e, per evitare il vuoto totale nel partito, insediare un segretario pro-tempore che amministri il partito fino al successivo congresso: l’11 maggio l’incarico di segretario viene affidato a Guglielmo Epifani il cui ruolo è quello di “traghettare” il PD alle primarie evitando una spaccatura che qualcuno da per imminente (o comunque già in nuce). La linea di Epifani è semplice ed efficace, ai parlamentari viene chiesto di mantenere una stretta disciplina di partito, evitare i personalismi e supportare i candidati alle successive elezioni: qualsiasi questione secondaria viene sostanzialmente messa in pausa e rimandata a dopo l’elezione del nuovo segretario. Aiuta il fatto che Epifani stesso non abbia alcun interesse a mantenere la carica dopo il congresso. Successivi attacchi e provocazioni di Grillo verranno prontamente cassati da una direzione ingessata. Si avvicina intanto una scadenza importante: a fine maggio si vota per il rinnovo di 719 comuni, fra cui alcuni importanti capoluoghi e la capitale.

Grillo ha già dimenticato il risultato del Friuli Venezia-Giulia e pensa di aver partita facile; i suoi si candidano ad oltre 400 di essi e spesso fanno campagna elettorale ricalcano i temi ed i modi di fare usati a Parma per polarizzare il dibattito in un “noi” contro “la casta”.

Le cose non vanno bene neanche questa volta: al primo turno il Movimento 5 Stelle perde praticamente ovunque; la sconfitta si rivela particolarmente bruciante a Roma ed a Siena (città su cui Grillo puntava molto, specie dopo lo scandalo, via via ridimensionato, di MPS) e la situazione non migliora ai ballottaggi dei primi di giugno dove il M5S conquisterà sì alcuni comuni  ma non abbastanza da riequilibrare  il risultato: complessivamente le amministrative per il Movimento restano disastro.

I risultati confermeranno che il PD nonostante la debolezza a livello centrale si è affermato praticamente ovunque mentre il PDL è in contrazione ed il Movimento 5 Stelle ha avuto risultati molto al di sotto delle aspettative. In media nel giro di tre mesi meno di un elettore su tre è tornato a votare il Movimento 5 Stelle; la seconda sconfitta di fila è così pesante e difficile da mandar giù che Grillo, nel tentativo di ricompattare i suoi, chiede retoricamente se è lui il problema.

A rispondergli, per la prima volta, è la senatrice del Movimento 5 Stelle Adele Gambaro che ritiene la linea politica aggressiva adottata dal comico controproducente per il Movimento.

La parlamentare viene  espulsa (in modo abbastanza ignominioso) quasi immediatamente. L’atto avrà un notevole impatto sull’opinione pubblica che per la prima volta rileverà l’eccessivo controllo del fondatore sul Movimento e l’assoluta sudditanza degli eletti nei confronti dei diktat del capo. L’evento sarà ripercussioni così negative che da quel momento in poi nessun parlamentare verrà più espulso.

Il problema Berlusconi.

A peggiorare le cose ci si mette Berlusconi stesso che avendo promesso pure lui l’impossibile (ovviamente senza mantenere) ora esige che a mantenere quanto promesso sia l’esecutivo Letta per cui il governo si trova anche a dover trovare i fondi per le  richieste di Berlusconi, il tutto per salvaguardare la stabilità del paese in un momento durissimo. Le richieste sostanzialmente sono relative all’abolizione dell’IMU; l’abrogazione della tassa sugli immobili che è stata uno dei cavalli di battaglia del PDL e Berlusconi ci tiene a mantenere quanto promesso almeno in parte (la restituzione dell’IMU dell’anno prima invece è stata accantonata, anche perché Berlusconi diceva che nel caso avrebbe pagato lui).

La situazione fa ovviamente gioco al Movimento 5 Stelle che ha sempre approfittato di qualsiasi commistione fra PD e PDL per la sua campagna elettorale; Grillo ha costruito le fortune del suo movimento sulla base del “sono tutti uguali” e per attaccare meglio il PD ha fatto suo un termine portato in auge dal giornalista amico Travaglio : “inciucio”. Inciucio nell’accezione a cinque stelle è qualsiasi accordo (che sia programmatico, alla luce del sole o fatto in segreto non cambia nulla) fra più parti e nello specifico fra PD e PDL; secondo Grillo il PD ed il PDL hanno governato insieme per vent’anni con accordi “clandestini” e già prima delle elezioni ha scommesso pesantemente sul fatto che PD e PDL avrebbero finito per governare insieme, ovviamente il governo voluto da Napolitano è stato, per i grillini, la prova provata che Grillo avesse ragione.

A poco è servito far presente che il PD per settimane ha cercato in tutti i modi una soluzione diversa, il risultato per Grillo è in sé prova di tutto quello che il comico ha sostenuto anche precedentemente.

In forza di questo risultato Grillo ha pronostica che fra Presidente della Repubblica, governo e maggioranza parlamentare troveranno il modo per risolvere i tanti problemi legali di Silvio Berlusconi, ed ovviamente la teoria ha retto benissimo per mesi grazie anche al giornalista amico Travaglio ed al Fatto Quotidiano che hanno iniziato a teorizzare di fantasiosi accordi sottobanco.

Tutto precipita il 30 luglio quando, dopo otto ore di camera di consiglio, la cassazione condanna Berlusconi a quattro anni per frode fiscale. L’aria nei palazzi del parlamento diventa immediatamente irrespirabile.

Il PD viene immediatamente attaccato dal PDL che vorrebbe un’immediata presa di posizione contro la sentenza ed una soluzione politica del caso. Travaglio ed il giornale di Padellaro scommettono su un provvedimento ad hoc e Grillo, senza mezzi termini, annuncia che PD e Napolitano salveranno Berlusconi.

Epifani e Letta rispondono in modo fermo e deciso: non ci sarà alcun trattamento di favore per il senatore del PDL. Inizia l’iter previsto nella legge Severino (votato anche dal Popolo della Libertà) per la decadenza mentre pezzi del governo stesso si lanciano in azioni eclatanti. La situazione, comunque tesa, rimane gestibile per qualche settimana nella quale il PDL prova a “convincere” il PD con le buone, salvo precipitare con la minaccia, da parte di Berlusconi, di far dimettere tutti i parlamentari del PDL (dal punto di vista meramente procedurale un atto del genere avrebbe paralizzato il parlamento per mesi).

Quando il 29 agosto la cassazione deposita le motivazioni i primi a mobilitarsi sono proprio i membri dell’esecutivo del centrodestra che, sotto l’indicazione di Berlusconi, presentano le dimissioni (anche solo per “spirito di coalizione”).

Il presidente Napolitano capisce le intenzioni di Berlusconi e gioca d’anticipo nominando, il 30 agosto, quattro senatori a vita. Secondo la costituzione il Presidente della Repubblica può nominare solo cinque senatori a vita e visto che Napolitano aveva già nominato, precedentemente, Monti con questo atto chiude la possibile via di fuga del fondatore del PDL: la Severino sarebbe stata inapplicabile su un senatore a vita. La rappresaglia è pesantissima: Berlusconi perde le staffe e prova a sfiduciare il governo.

Il voto si terrà il 2 settembre ma nel frattempo succede di tutto: molti parlamentari si ribellano alla linea dirigista di Berlusconi ed alcuni, fra cui la maggioranza dei membri dell’esecutivo, annunciano che non seguiranno il fondatore in quest’atto irresponsabile. I ministri del PDL (le cui dimissioni sono ancora sul tavolo di Letta) si tirano indietro e nel PDL si crea una spaccatura che neppure gli incontri a porte chiuse fra Berlusconi ed Alfano riescono a ricomporre. Berlusconi vuole vederci chiaro ma una volta al senato è chiaro che non ci sono i numeri per far cadere l’esecutivo.

Mentre tutti i membri dell’esecutivo (esclusa Michaela Biancofiore, che verrà infatti dimessa) ritirano le dimissioni i senatori del PDL fanno una ben magra figura quando, dopo aver attaccato l’esecutivo, vengono sbugiardati da Berlusconi stesso (eccezionalmente in aula: ha una sola presenza) che annuncia la fiducia a Letta onde evitare la spaccatura. L’intero voto di sfiducia termina con un impietosa farsa in cui tutti votano la fiducia al governo.

Nella pratica capendo la situazione Berlusconi ha preferito cambiare posizione all’ultimo momento; la situazione rientrerà temporaneamente ma il PDL sarà comunque irrimediabilmente compromesso, tant’è che poche settimane dopo avverrà la scissione fra l’ala berlusconiana (che confluirà in Forza Italia) e quella governativa (che formerà il Nuovo Centro Destra) con la conseguente uscita dei “fedelissimi”di FI dall’esecutivo e nuovo voto di fiducia.

Parallelamente si svolge un altra partita : la decadenza di Berlusconi al Senato apre una partita tutta nuova con un PDL agguerrito che fa di tutto per insabbiare e rimettere in discussione l’iter ed i parlamentari del Movimento 5 Stelle che, a causa della loro inesperienza (ma sarà solo inesperienza ?) non fa che dilatare i tempi.

Il senatore del Movimento Vito Crimi per poco non riesce a far azzerare la commissione quando sul suo account facebook appaiono dei pesanti apprezzamenti su Berlusconi espressi mentre lui è in commissione. La questione viene chiusa, non senza recriminazioni, dal presidente del senato Piero Grasso e dal presidente della commissione Stefàno (di Sinistra, Ecologia e Libertà).

Un altro ritardo è dovuto alla modifica del regolamento (voluta da Scelta Civica e dal Movimento 5 Stelle) per far sì che il voto di decadenza sia palese e non segreto… nei fatti le lungaggini sono tante e l’iter si conclude solo il 27 novembre quando Berlusconi viene dichiarato decaduto dal Senato della Repubblica coi voti di PD, M5S, Scelta Civica più vari del gruppo misto (fra cui SEL).

I postumi.

A fine novembre i parlamentari del PD sono stremati; quello che più ha patito è probabilmente il capogruppo Zanda che s’è visto ripetere quotidianamente se avessero intenzione di salvare Berlusconi, buon secondo Epifani che, pur essendo semplicemente un “supplente” ha sostenuto la linea ufficiale in modo esemplare nonostante le pressioni da più parti.

Ed a capitolo “pressioni” non sono mancati gli articoli in tal senso da parte del Fatto Quotidiano (che per quattro mesi ha immaginato complotti e trattative poi rivelatesi campate in aria) e Grillo a più riprese ha annunciato un risultato puntualmente disatteso, una sinergia che sembrava tesa proprio a sfiancare il Partito Democratico.

Alla fine della fiera il PD ha fatto quello che ci si aspettava facesse e che ha annunciato fin dal primo giorno ma è stato un tour de force non indifferente, specie con la diffidenza che ha incontrato anche fuori dal parlamento (per non parlare degli attacchi). I ritardi introdotti dal Movimento 5 Stelle non hanno aiutato per nulla visto che hanno dato tempo a Berlusconi per brigare in cerca di salvezza e se è vero che alla fine non gli è servito a nulla è altrettanto vero che molti degli scossoni passati in quei mesi potevano essere evitati se il Movimento si fosse comportato in modo razionale anziché puntare sempre e solo a mettere in difficoltà i democratici.

Fine prima parte.

G.D.E.

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