QUANDO I COMUNISTI MANGIAVANO I BAMBINI

Questo articolo è  di Capra & Cavoli.

 

Da dove viene il luogo comune secondo cui “i comunisti mangiano i bambini”?

Forse non tutti sanno che, come quasi tutte le leggende, anche quella dell’antropofagia comunista prende spunto da un fatto vero, e cioè la terribile carestia russa del 1921, passata alla storia come ‘Povolzhye’, durante la quale si registrarono episodi di cannibalismo.

La grande carestia, che iniziò nella primavera del 1921 e durò un anno e mezzo, colpì 33 milioni di russi, già stremati da 7 anni di conflitto mondiale, rivoluzione e conseguente guerra civile. Durante la guerra civile del 1918-20 tutte le parti coinvolte avevano fatto uso dell’antica tattica della “terra bruciata”, razziando il cibo a chi lo produceva per darlo alle proprie armate e ai propri sostenitori. I villaggi contadini, a differenza di quanto era avvenuto durante le precedenti carestie, si trovarono ben presto a corto di scorte e, per sfamarsi, le persone furono costrette a cibarsi di cani, gatti, topi, erbe e tutto ciò che poteva essere commestibile.

La American Relief Administration (A.R.A), creata dal futuro presidente statunitense Hoover per fornire aiuti alle popolazioni ridotte alla fame, nel 1919 aveva offerto assistenza alla Russia a condizione che fosse messa a disposizione la rete ferroviaria e che il cibo fosse distribuito imparzialmente, ma Lenin rifiutò quella che giudicò un’interferenza straniera negli affari interni. Solo nell’estate del 1921, quando ormai la carestia aveva mietuto molte vittime, fu consentito al grande scrittore Massimo Gorkij di lanciare un appello all’A.R.A., che aveva già dato aiuti massicci a tutti i paesi dell’Europa occidentale.

Ad ogni modo, i fattori che determinarono l’immane catastrofe del 1921 furono essenzialmente due: le requisizioni forzate dei prodotti agricoli da parte di Lenin (il cosiddetto Comunismo di guerra), e la terribile siccità che colpì in quell’anno la Russia meridionale (area del Volga, Russia europea e Ucraina): si stima che i morti furono 5 milioni. La tragedia ebbe una grande risonanza internazionale e si formarono numerosi comitati di soccorso; non mancarono aspre polemiche sulle responsabilità delle autorità sovietiche, che sottovalutarono la portata del disastro e arrivarono ad espellere dal paese le organizzazioni umanitarie, accusandole di spionaggio.

Lo scrittore russo Michail Osorgin parlò chiaramente di un cannibalismo diffuso. L’archeologo e filantropo antifascista Umberto Zanotti Bianco, recatosi in Russia con il Comitato Italiano di Soccorso per i Bambini Russi, riferì di numerosi casi di antropofagia, profanazione di cimiteri e vendita di carne umana nei mercati. Oltre a diversi cronisti (anche Benito Mussolini nel 1922, non ancora duce, ne scrisse sul Popolo d’Italia), lo raccontarono scrittori, intellettuali e dissidenti come Gorkij, Koestler, Solzenicyn, Grossman, con tanto di aneddoti su vedove che rivendicavano la carne del marito morto e genitori che per nutrire i primogeniti sacrificavano i figli minori.

Nel libro del 1923 “La Ceka – Il terrore bolscevico”, sono riportate scene da film horror di serie B: «I cadaveri umani già vengono usati come alimento… I parenti dei morti di fame sono costretti a mettere dei piantoni presso le tombe… I bambini morti vengono fatti a pezzi e messi nella pentola.»

Esistono fotografie dell’epoca che sembrano confermare la veridicità di queste testimonianze; si tratta, com’è facile intuire, di immagini “forti” che i più interessati non mancheranno di trovare in internet.

Il fenomeno fu strumentalizzato a fini politici: gli avversari dei bolscevichi, i cosiddetti Bianchi, che avevano perso la guerra civile e si erano rifugiati all’estero per sfuggire ai processi sommari e alle esecuzioni di massa, avevano tutto l’interesse a diffondere la diceria dei comunisti mangiabambini, per screditare i Rossi agli occhi del mondo. Il diffondersi di tale credenza suscitò, com’è ovvio, un’ondata di sdegno e raccapriccio nell’opinione pubblica internazionale, e contribuì ad alimentare i sentimenti antisovietici in tutto l’occidente.

 

Eventi analoghi, del resto, si verificarono anche in Ucraina durante l’Holodomor del 1932-33 (dall’ucraino moryty holodom, “infliggere la morte attraverso la fame”), una carestia indotta dalle misure del regime sovietico che viene considerata da molti come un genocidio. Robert Conquest afferma che la moglie di Stalin, Nadežda Allilueva, si suicidò nel 1932 dopo che venne a conoscenza di episodi di cannibalismo tra i kulaki causati dalla politica repressiva del marito. Per la stampa sovietica morì di peritonite, mentre secondo altre fonti si suicidò, ma per motivi diversi. Comunque, un corposo libro con le testimonianze dei sopravvissuti all’Holodomor dedica un intero capitolo al cannibalismo, e ciò trova conferma anche nei rapporti coevi di diplomatici italiani. L’Urss ha taciuto a lungo sugli effetti di questa carestia, cominciando a parlarne solo negli anni ’80 durante la perestroika. Gli archivi sovietici, aperti dopo il 1989, confermano le testimonianze di antropofagia e anzi rivelano che il cannibalismo era molto più diffuso di quanto non si credesse. La Ceka all’epoca aveva istituito addirittura una commissione apposita per impedire il cannibalismo e il commercio di carne umana.

 

Vale la pena chiarire, a scanso di equivoci, che ovviamente nessuno sta affermando che il cannibalismo fosse una pratica comune in Unione Sovietica, né tanto meno che il mangiare bambini fosse parte integrante dell’ideologia comunista! Il regime sovietico tentò, anzi, di soffocare il fenomeno dell’antropofagia con il carcere e le fucilazioni. Si trattava di un cannibalismo di sopravvivenza, il superamento del tabù più profondo da parte di povera gente costretta a farsi bestia a causa delle miserabili condizioni di vita e di una serie incredibile di concomitanze sfavorevoli, non ultima la sciagurata politica agricola stalinista.

E in Italia?

stalin bambini

Nell’Italia degli anni ’20 e ’30 certe leggende ebbero particolare fortuna, con il fascismo che ne fu l’iniziale propagatore, e abbondavano manifesti dai titoli espliciti, come “Madre! Salva i tuoi figli dal bolscevismo”, corredati da immagini truculente. Nel 1943 viene pubblicata su La Stampa la notizia terrificante di una deportazione in Russia di bimbi siciliani. Un manifesto della Repubblica di Salò titola: “Chi salverà i vostri figli?” (dall’orco russo divoratore dell’infanzia, con le sembianze di Stalin). Il panico si sparse ovunque, fomentato da cronache che raccontavano di genitori che preferivano uccidere i propri bambini e poi suicidarsi, piuttosto che lasciarli partire per la Russia. Naturalmente si trattava di una bufala, nessun bambino italiano fu deportato in URSS. Ma la favola era già scritta, nutrita dai timori ancestrali di una comunità scossa dalla guerra. Nell’immaginario nazionale era entrato il terribile Moloch rosso.Un falso che in Italia ebbe maggiore diffusione che altrove, dapprima grazie al fascismo che enfatizzò lo scontro con il comunismo, e che tornò utile poi anche nel dopoguerra, poichè in Italia operava il più grande Partito Comunista dell’occidente ed era necessario, da parte del fronte avverso, gettare una luce sinistra sui suoi militanti e suscitare timori e paure più che in altri paesi.

Un luogo comune che continuerà anche negli anni successivi, quelli della guerra fredda, fino ad arrivare a Silvio Berlusconi che, tra barzellette e paradossi, ne ha fatto spesso riferimento nelle sue campagne elettorali: come non ricordare che nel 2006 l’Italia fu costretta a chiedere scusa al governo di Pechino quando l’allora premier disse che, nella Cina di Mao, i bambini venivano “bolliti per concimare i campi”? Roba da psichiatri, insomma.

La diceria è testimoniata anche da Massimo D’Alema, primo ed unico ex comunista a Palazzo Chigi, che ricevette in regalo da Cossiga un bambolotto di zucchero accompagnato dall’ironico commento: “Così non interromperai la tradizione dei comunisti che mangiano i bambini”.

Molti comunisti italiani nel corso del ‘900 hanno vissuto questo archetipo della vulgata anticomunista come una calunnia, un oltraggio vero e proprio, anche perchè il popolino ci credeva: si ricorda, ad esempio, un accorato appello di Pietro Ingrao rivolto all’intellighenzia italiana: «Ci sarà mai uno scrittore che sappia bollare questi seminatori di discordia?». Ci ha provato la satira, raccogliendo l’invito con mezzo secolo di ritardo: Paolo Villaggio, in uno dei suoi racconti surreali, immaginò Togliatti che ordina bambini fritti, mentre Nenni per tenersi leggero ne ordina uno crudo, «possibilmente ancora vivo». Giorgio Gaber cantava «Qualcuno era democristiano perché i comunisti mangiavano i bambini», mentre più di recente Crozza ne ha ricavato una battuta alimentare: «Fassino è la dimostrazione che i bambini non fanno ingrassare».

 

E’ pertanto evidente che l’accusa di mangiare i bambini ha avuto origine dall’atteggiamento di pregiudizio, odio e paura verso il bolscevismo; i vecchi comunisti si indignavano, mentre dai comunisti di oggi viene accolta con divertimento e citata come prova della malafede della propaganda anticomunista del XX secolo.

 

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