Perché “stato sociale” non è una parolaccia

Gli esseri umani, come tutti gli animali, vengono dallo stato naturale.

Un adagio dice “la vita fa schifo, e poi muori”; nello stato naturale vivi fino a quando non muori, sopravvivere è bene, se sei un animale potente e possente vivi e comandi su quelli più deboli di te, gli altri ti seguono (e spesso ti sfidano), mangi prima, hai diritto alle femmine, fai figli (che devi difendere, perché gli altri maschi vogliono liberarsi della discendenza di un uomo forte) e poi invecchi, ti battono e o muori subito o sopravvivi da sconfitto fino a quando non muori, tipicamente sui trent’anni.

E se non sei un maschio alfa ? Ti va ancora peggio.

Questo è lo stato naturale tipico degli animali sociali e questo è lo status da cui l’uomo s’è evoluto verso lo stato sociale.

Non la faccio lunga (c’ho provato a scriverla lunga, semplicemente verrebbe troppo lunga); a poco a poco ci si è evoluti in un sistema in cui esistevano delle caste dinastiche: guerrieri figli di guerrieri e sacerdoti figli di sacerdoti.

Questo è stato il primo step evolutivo importante dal punto di vista sociale: la nascita di un gruppo di guerrieri e di legislatori che tramandavano regole e si arrogavano il monopolio dell’uso della violenza. Storicamente nelle tombe dei grandi capi si sono trovate grandi quantità di asce; l’ascia (ben prima della spada) era l’elemento che rappresentava il diritto ad esercitare la violenza e se anche in un secondo tempo il diritto stato separato dall’oggetto in sé il suo valore come status symbol è rimasto inalterato e si è confermato, cambiando modi e forme, fino ad oggi (si pensi che ancora oggi quando un ufficiale viene congedato con disonore gli viene spezzata la spada d’ordinanza).

La parte importante in questo però non è tanto la discendenza diretta (che comunque verrà abbandonata col tempo) quanto la specializzazione in classi: fabbisogni primari della comunità (cibo, alloggi, istruzione), la sua sicurezza (interna ed esterna) e la pianificazione (politica).

Col passaggio dei millenni la cosa si andrà via via perfezionandosi (che non vuol dire “semplificandosi”) fino allo stato sociale che conosciamo oggi: gli uomini rinunciano all’uso della violenza lasciando che sia l’entità astratta “Stato” ad averne il monopolio e ad esercitarla solo nei modi e nei limiti imposti dalla legge, per il bene della comunità. La legge vale per tutti e su tutti i componenti della comunità.

 

Perché un uomo forte dovrebbe rinunciare alla sua “superiorità” per vivere in un sistema in cui è costretto a stare alla pari con chi è più debole di lui ? cosa ci guadagna ?

Le ragioni sono tante ma al minimo possiamo rifarci  al detto “puoi essere più furbo di un altro ma non più furbo di tutti gli altri”: la cosa vale anche per il monopolio della forza, puoi essere più forte di uno ma non più forte di tutti; vero è che anche nella società reale le prevaricazioni esistono, il bullismo sopravvive tanto nelle scuole quanto nei luoghi di lavoro e nell’esercito e non ce ne libereremo tanto facilmente, la nostra natura animale tende sempre a tornare a galla, anche se con manifestazioni più blande.

Cos’è quindi, in ultima analisi, lo Stato ? Lo Stato è quell’entità collettiva (tutti siamo parte dello Stato, per il semplice fatto di aderire allo stato sociale derivante dalle leggi vigenti nel nostro paese) che assicura i diritti, prescrive i doveri ed indica le modalità ed i limiti nell’uso della violenza.

Il diritto alla proprietà privata ma anche i diritti individuali, di famiglia, di lascito… tutto esiste perché tale entità collettiva riconosce, tutela ed indica forme e modi per dare un valore a tali diritti, che altrimenti sarebbero lettera morta: ogni tuo diritto è codificato in una legge e tu puoi esercitare i tuoi diritti solo nei modi e nei limiti indicati dalla legge.

Facciamo un esempio: io coltivo delle patate, arriva un tizio grosso e me le strappa di mano. Mi ha rubato le patate ? In natura no perché quelle patate sono sue per il semplice diritto della forza che gli permette di togliermele e d’impedirmi di riprenderle. Il mio diritto di chiamarlo “ladro” e di volerle indietro nasce dalle leggi e dallo Stato che assicura (o almeno ci prova) che mi vengano restituite e, se necessario, fa sì che chi è legalmente preposto all’uso della violenza (a seconda del contesto i giudici, gli esattori del fisco, gli agenti di polizia) vi ricorra affinché mi venga reso ciò che è “mio”.

Tutti i diritti  (anche quello alla vita) discendono dallo Stato che ce li riconosce e tutti gli obblighi e doveri imposti dallo Stato sono contropartita per i diritti di cui godiamo.

Questo non vuol dire che lo Stato è giusto ed equo ma il rispetto degli obblighi e dei doveri è necessario per restare all’interno dello stato sociale. Ci sono posti dove gli stati concedono ai propri cittadini molti meno diritti e molti più obblighi e doveri di quanto non avvenga qui.

 

In linea teorica si può abbandonare scientemente lo stato sociale del proprio paese ed addirittura provare a sovvertirlo, ma questo implicitamente implica la rinuncia alle tutele ed ai diritti che lo Stato stesso assicura. Ci si può spingere fino all’esercitare direttamente la violenza nel tentativo “farsi ragione” ma questo vuol dire che lo Stato può sospendere (anche solo parzialmente) i diritti che normalmente concede ai rivoltosi per tutelare sé stesso e gli altri cittadini.

 

Ho fatto questo enorme preambolo giusto per spiegare che lo Stato non è soltanto un entità che preleva i soldi in forma di tasse e li restituisce come servizi, è qualcosa di molto più complesso, esteso e pervasivo… e questo per far notare a quelli che a vario titolo minacciano scioperi fiscali o altre buffonate pararivoluzionarie che il loro non è che un patetico esercizio della loro indole di bambini viziati.

 

Detto questo ognuno si prenda le proprie responsabilità e faccia liberamente quel che crede… io per primo non sono al settimo cielo quando c’è da pagare le tasse e non mi piace sottostare alle leggi che reputo sbagliate ma non ho alcuna intenzione di mettermi dalla parte degli straccioni che si fanno chiamare forconi, dei grillini che inneggiano allo “sciopero fiscale”, dei leghisti che piagnucolano per le quote latte, dei montanari importati che ce l’hanno con la TAV e tutti gli altri “cittadini” (strano che questa qualifica la usi anche la Sarti, nota per aver elogiato comportamenti anti-cittadini) che a vario titolo violano le leggi dello Stato scordandosi che i loro modi li pongono al di fuori dal contesto sociale, lì dove stati più affini alla loro indole li avrebbero riempiti di manganellate a due a due fino a quando non diventano dispari.

 

Per dire, siamo tutti arditi rivoluzionari a favore di telecamera quando lo Stato è garantista… ci fossero loro stessi a fare le leggi ed a farle applicare si starebbero già legnando da mo’, altro che stipendi e diarie pagate da chi è veramente cittadino.

 

G.D.E.

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