L’estinzione della megafauna

EDIT: ho eseguito una correzione temporale riguardo il Nord America. Mi scuso: ho una professoressa prossima alla pensione che distribuisce materiale vecchio… cose da pazzi.

Propongo di lasciare la politica e parlare d’altro almeno per qualche ora.

Sapete cos’è la Megafauna? Per “Megafauna” si intende l’insieme di tutti i Mammiferi che hanno un peso superiore a 45 chilogrammi, quindi Homo sapiens fa parte della Megafauna. Così come gli elefanti, i rinoceronti, le tigri e qualunque mammifero che superi il peso di riferimento. Facciamo qualche esempio.

Oltre agli attuali elefanti, bisonti, alci, cervi, rinoceronti, cavalli, ecc., facevano parte della Megafauna animali più esotici come:

Megaloceros giganteus, meglio noto come “cervo gigante” o “alce irlandese”:

Avete letto bene: era alto oltre due metri al garrese e i palchi potevano estendersi per quasi quattro metri. Vi lascio immaginare quanto fossero pesanti, e infatti questi animali avevano dei muscoli del collo e dei processi spinali assolutamente possenti! Si è estinto intorno a 11.000 anni fa, anche se alcune poplazioni relitte dovrebbero essere sopravvissute sull’isola di Man (Mar d’Irlanda) fino a circa 9.000 anni fa.

Mammuthus primigenius, noto ai più come “mammuth lanoso”:

Animale piuttosto famoso, i cui maschi potevano arrivare a 4,5 metri al garrese con lunghe zanne divergenti. Ben 6 tonnellate di peso. Un tempo occupava tutta l’Eurasia, ma intorno a 10.000 anni fa la sua popolazione ha iniziato a declinare, ritirandosi verso la Siberia, dove si è estinto circa 7.000 anni fa. Una popolazione è sopravvissuta sull’isola di Wrangel (Russia) fino a 3.000 anni fa, anche se aveva iniziato a mostrare i segni del “nanismo insulare”.
I famosi “mammuth congelati” trovati in Siberia sono attribuibili a questa specie.

Coelondonta antiquitatis, conosciuta come “rinoceronte lanoso”:

Poteva arrivare a 4 metri di lunghezza, con un corno anche di un metro e mezzo. Secondo alcuni il corno era uno “spazzaneve” usato per cercare cibo sotto la coltre nevosa. Visse in tutta l’Eurasia e si è estinto circa 10.000 anni fa. Si conosce abbastanza bene il suo aspetto per via delle pitture rupestri prodotte dagli antichi sapiens.

Megatherium, o “bradipo gigante”:

Impressionante, eh? Un parente colossale degli attuali bradipi che viveva in Sud America e nella parte meridionale del Nord America, si è estinto intorno a 10.000 anni fa. Non si sa se fosse lento come i suoi parenti odierni.

Glyptodon, l’armadillo gigante:

Questo gigante corazzato ha origini molto antiche, infatti comparve in Sud America più di cinque milioni di anni fa si è spostato anche in Nord America, prima di sparire 11.000 anni orsono. Poteva essere lungo fino a tre metri.

Procoptodon goliath, un canguro gigante:

Ovvero un buffo canguro dal muso corto alto più di due metri. Visse in Australia fino a 40.000 anni fa.

Diprotodon, il più grande marsupiale noto:

In pratica un vombato grande quanto un rinoceronte e parente del famoso koala. Non sono ancora chiarissime le sue abitudini di vita, ma si estinse 40.000 anni fa.

E potremmo andare avanti per ore! Questa è solo una carrellata di esempi.

Come avrete notato, la maggior parte di queste specie è scomparsa circa 11.000 anni fa, segnando il confine tra ilo periodo geologico Pleistocene e l’Olocene (il periodo in cui viviamo oggi). Cosa è successo 11.000 anni fa? Molte cose, ma l’evento più eclatante fu la fine dell’ultima glaciazione, la Würm, e quindi fu un’epoca di imponenti cambiamenti climatici col il ritiro dei grandi ghiacciai continentali che ricoprivano una larga parte dell’emisfero Boreale, provocando un’aumento dell’umidità complessiva del clima planetario. Sì, perché è poco noto ma non sono i periodi caldi a provocare l’inaridimento ma quelli freddi, dato che bloccano moltissima acqua nei grandi ghiacciai continentali (gli inlandsis).

Come se non bastasse, sembra che 11.000 anni fa un oggetto celeste eplose nei cieli di Nord America, in modo simile alla celebre esplosione di Tunguska ma più potente, devastando una vasta area del continente.

All’epoca Homo sapiens si era diffuso quasi ovunque. E infatti è da qui che alcuni studiosi predono spunto: noi abbiamo sterminato la Megafauna, caso chiuso!
Per esempio in un articolo che ho letto pochi giorni fa, l’autore espone la teoria secondo cui la nostra specie avrebbe cancellato la megafauna portando come prova il fatto che la nostra biomassa è cresciuta e quella della megafauna è calata. Questo approccio da ecologo, che cerca di misurare tutto in termini energetici, ha un mortale difetto che però l’autore non ha considerato: è stata l’espansione umana a provocare il crollo della Megafauna o è stato il crollo a permettere l’espasione umana? Non si può sapere. In più bisogna dire che i nostri antenati di 11.000 anni fa non erano molto ben equipaggiati: immaginate abbattere un mammuth con arco e freccie? Difficile che potessero ucciderne molti, al massimo potevano puntare a individui deboli e finirli. Discorsi diverso per i piccoli: sebbene fossero prede più facili degli adulti, probabilmente erano protetti dal branco ma con qualche stratagemma potevano essere abbattuti.
Ma c’è un’altra considerazione che confuta l’idea della responsabilità da attribuire solo alla nostra specie: i continenti dove l’estinzione è stata meno importante sono stati Africa ed Eurasia, ovvero quelli in cui Homo sapiens ha vissuto per più tempo. Specialmente l’Africa, culla della nostra specie e continente colpito quasi per nulla dal fenomeno di estinzione.
Insomma la nostra capacità di pesare sull’ambiente dell’epoca è sovrastimata come se certi studiosi pensassero di vedere l’Umanità attuale all’opera. Bisogna anche dire che eravamo poche migliaia in tutto il mondo e la rivoluzione agricola (e quindi la deforestazione) non era ancora avvenuta.

Ma allora cosa è successo? Leggendo un po’ di letteratura di vari autori viene fuori un quadro ben diverso è molto più articolato. La fine della glaciazione Wurm ha provocato bruschi cambiamenti del clima, che hanno alterato l’ambiente di molte specie. Un ottimo esempio sono i mammuth costretti a spostarsi sempre più a nord per “seguire” l’arretramento del proprio habitat.
Affinché una specie si estingua il numero di esemplari deve scendere sotto un “numero minimo” detto “soglia”. Se una specie si avvicina alla soglia, basta uno stress di qualunque tipo per provocarne l’estinzione. Alla luce di queste considerazioni rivediamo la situzione dei continenti.

  • Africa: estinzione molto blanda nonostante Homo sapiens la abiti da almeno 200.000 anni; probabili cause climatiche.
  • Eurasia: estinzione importante ma non drammatica; probabilmente indotta da più cause, ovvero i cambimenti climatici, la caccia su specie già largamente provate e forse qualche malattia infettiva.
  • Nord America: estinzione drammatica, probabilmente dovuta ai cambiamenti del clima e all’evento meteorico, più caccia su specie sull’orlo dell’estinzione. Da notare che Homo sapiens giunse nelle americhe tra 25.000 e 15.000 anni fa ma le estinzioni eplodono molto dopo e molto in fretta, segno che qualcosa di devastante deve aver messo in crisi l’ambiente locale.
  • Sud America: estinzione drammatica, probabilmente indotta da un brusco cambio delle condizioni ambientali in seguito alla fine della glaciazione, che ha provocato un generale aumento dell’umidità e una forte espansione delle foreste pluviali. Magari anche qui l’azione umana ha dato il colpo di grazia più quache malattia infettiva.
  • Australia: estinzione catastrofica. Questa è interessante: inizia molto prima del resto del mondo e appena 10.000 anni dopo l’arrivo della nostra specie. Questa è forse l’unica estinzione provocata quasi esclusivamente dalla nostra specie, che ha cacciato la fauna locale e introdotto animali come il dingo (un cane inselvatichito) che sono molto più adattabili e veloci a riprodursi rispetto ai marsupiali, che quindi vengono lentamente sostituiti.

In pratica, in quasi tutti i casi la nostra responsabilità appare limitata, probabilmente ci siamo lmitati  ad  accelerare la fine di specie già condannate dai cambiamenti del clima e quindi degli habitat.

La cosa che trovo bizzarra è la tendenza ad attribuire alla nostra specie le peggiori nefandezze, tanto da renderci colpevoli anche quando non lo siamo, tendenza tipica della nostra epoca in cui si ha una sfiducia totale nell’uomo e nelle sue capacità. Tendenza che porta a trarre conclusioni facili e affrettate che non permette di cogliere la complessità di fenomeni come questo: ci si adagia sul “tanto è colpa dell’azione umana” e la ricerca arriva al paradosso di smettere di “ricercare”, convinta di avere già tutte le risposte.

Attualmente siamo oltre 7.000.000.000 e di certo non si può risolvere il problema della perdita di biodiversità suicidandosi in massa: i problemi possono essere risolti solo avendo fiducia in noi stessi e nella nostra intelligenza, perché noi abbiamo la capacità di cancellare una specie ma anche di salvarla. Citofonare Bison bonasus per eventuali chiarimenti.

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