Le origini del terrorismo in Italia – terza parte –

Le Brigate Rosse

 

[“La notte della repubblica” Sergio Zavoli]

 

Le Brigate Rosse sono state l’organizzazione rivoluzionaria e terroristica più longeva e spietata che abbia operato in Italia nel periodo denominato “anni di piombo”. Di ispirazione marxista-leninista e di estrema sinistra si dotò di una organizzazione efficiente e clandestina che la portarono a diventare presto un modello ineguagliato anche a livello europeo. Quello che si sa di questo gruppo terroristico lo si è appreso nel tempo per mezzo delle sentenze dei tribunali, delle commissioni d’inchiesta parlamentare e — soprattutto — delle dichiarazioni rese dai “pentiti”. Una delle poche questioni su cui c’è una certa sicurezza è l’origine ideologica.


Le BR sono nate da una mescolanza di tre principali “fonti ideologiche” che ebbero anche tre diverse connotazioni geografiche. La prima fonte è Milano, con le prime multinazionali insediate nel territorio e il conflitto operaio giunto ad un livello altissimo; leader indiscusso di questo fronte — chiamiamolo operaista — è Mario Moretti, lavoratore della Sit-Siemens. Il secondo crebbe e si sviluppò nel veneto ed in special modo nella ormai famosa università di sociologia di Trento dove studiarono altri due capi storici del gruppo terroristico, Mara Cagol e Renato Curcio. In questa università umanistica si ebbe la originale auto-contestazione degli studenti che si ritenevano “strumenti nelle mani della classe dominante”; in pratica si videro come futuri “ingegneri sociali” che — allo stesso modo dei tecnici delle aziende moderne — avrebbero dovuto ingegnerizzare e rendere produttivo (per gli scopi capitalistici) anche il cittadino fuori dalle fabbriche, nella sua vita quotidiana. Il terzo venne dalle campagne e piccole città dell’Emilia Romagna, dai fuoriusciti del partito dominante della zona — il PCI — con cui erano in aperto contrasto, come Alberto Franceschini e Prospero Gallinari; questi erano la “memoria storica” e l’avanguardia ideologica delle BR.

 

[“La notte della repubblica” Sergio Zavoli]

 

Ma perché le BR hanno avuto così tanto successo propagandistico e militare? Cosa avevano di diverso dalla pletora di movimenti di estrema sinistra che — anche loro — non disdegnavano l’uso della violenza?
La risposta — ma è una mia opinione personale — è più semplice di quanto si possa pensare. All’apparenza si potrebbe rispondere che la durata e la quantità di individui che sapeva “arruolare” questo gruppo era dovuta all’organizzazione e alla ricerca maniacale per i dettagli allo scopo di evitare pericoli provenienti dall’esterno. Ma la singolare organizzazione delle BR fu un effetto derivato da una causa principale, esattamente come la scelta della clandestinità fu un effetto fatale causato dalla ricerca spasmodica nell’evitare ogni possibile pericolo esterno e infiltrazioni.

Questa causa principale fu la chiarezza dell’obiettivo dichiarato: la presa del potere dello Stato.

Le brigate rosse — in aperto contrasto con gli altri movimenti che definiva spregiativamente parolai e inconcludenti — si proponeva la costruzione di un partito armato. Fu questa la differenza abissale con altri gruppi anche di un certo seguito come Prima Linea e Autonomia Operaia; tutti — ma proprio tutti — i movimenti si dichiaravano tali e non accettavano un irrigidimento dei loro militanti in forme che ricalcassero le forme partitiche.

Sergio Segio, uno dei capi del gruppo armato Prima Linea, traccia le differenze con le brigate rosse.

 

[“La notte della repubblica” Sergio Zavoli]

 

Questo limite (uso questo termine da un punto di vista puramente tecnico) fu abbattuto dalle BR che si posero allo stesso livello della DC, del PCI e degli altri partiti. Non più — come a sinistra — combattere con la violenza per acquisire coscienza, né — come a destra — “destabilizzare per stabilizzare” ma un partito (armato) vero e proprio con tanto di “programma di governo”.

 

L’organizzazione politico-militare

L’organo al vertice dell’organizzazione era il Comitato Esecutivo, quello che si potrebbe chiamare “l’esecutivo”; questo comitato era eletto dalla Direzione Strategica, un’assemblea di 10-15 persone massimo che si riuniva una o due volte l’anno e che dava anche l’indirizzo militare e politico alle BR. A livello nazionale l’organizzazione era divisa in Colonne autonome; se ne contarono quattro simili e molto organizzate: Milano, Torino, Genova, Roma, più altre due un po’ diverse come caratteristiche: la colonna Veneta e Napoli.

Ogni Colonna aveva un capo colonna e una serie di militanti. I militanti erano divisi: i regolari, quelli che avevano fatto la scelta della clandestinità ed operavano ai massimi vertici delle brigate rosse, e gli irregolari, quelli che avevano una doppia vita e che facevano opera di propaganda, volantinaggio, lotte operaie all’interno delle fabbriche, ma che comunque continuavano la loro vita di cittadini studenti o lavoratori. Gli irregolari erano organizzati in “brigate” ed avevano un referente regolare clandestino all’interno della Colonna; ogni nuovo aspirante militante doveva passare dalla “brigata” e la sua candidatura all’interno dell’organizzazione doveva essere presentata al capo brigata che la passava — per un’analisi — al capo colonna. Oltre a questo c’erano anche i Fronti che erano dei militanti clandestini specializzati in alcune tematiche (logistica, propaganda ecc ecc); questi Fronti, verticali per quanto riguarda i temi, “tagliavano” l’organizzazione orizzontalmente. Ad esempio c’era il Fronte della Logistica specializzato in acquisto di armi, passaporti falsi, collegamento tra varie colonne e il Fronte di Massa, specializzato nella vita della fabbrica. Ogni colonna aveva almeno un esponente dei due fronti (erano in via di preparazione altri Fronti). Ecco alcune spiegazioni “dall’interno” date da Franco Bonisoli, appartenente al comitato esecutivo dell’epoca.

 

[“La notte della repubblica” Sergio Zavoli]

 


 

Di seguito un estratto di una risoluzione in merito all’organizzazione redatta nel 1974.

RISOLUZIONE DELLA DIREZIONE STRATEGICA N°2
LA DIREZIONE STRATEGICA.
E’ la massima autorità della nostra Organizzazione. Essa raccoglie e rappresenta tutte le tensioni e le energie rivoluzionarie maturate nei fronti, nelle colonne e nelle forze irregolari. Sono gli organi di direzione collegiali delle colonne e dei fronti che eleggono i membri della DS, ma il Comitato Esecutivo può porre il veto su eventuali nomine quando esistano motivi di sicurezza che lo impongano. Le motivazioni d’eventuali esclusioni dovranno, comunque essere rese pubbliche durante l’assemblea. E l’assemblea ha il potere di decidere. I membri della DS rimangono in carica da una sessione all’altra e possono essere riconfermati o non riconfermati. Sta al consiglio della DS formulare gli orientamenti generali e di linea politica dell’organizzazione. Gli sono riconosciuti da tutti i membri dell’Organizzazione i seguenti diritti: – il diritto di emanare leggi e regolamenti rivoluzionari; – il diritto di applicare correzioni disciplinari nei confronti di quei membri dell’organizzazione che abbiano tenuto un comportamento scorretto o controrivoluzionario; – il diritto di formulazione, approvazione e revisione del bilancio; – il diritto ed il potere di modificare le strutture dell’Organizzazione; il diritto di nominare i membri del Comitato Esecutivo e di chiedere ragione del loro operato. Il Consiglio potrà essere riunito normalmente due volte l’anno e straordinariamente quando ciò sia richiesto almeno da una Colonna, da un Fronte o dal Comitato Esecutivo.
IL COMITATO ESECUTIVO.
Al Comitato Esecutivo spetta il compito di dirigere e coordinare l’attività delle colonne e dei fronti tra un Consiglio e l’altro. Esso risponde del suo operato direttamente ed esclusivamente al Consiglio e da questo viene nominato e può essere revocato. Nel CE devono essere rappresentati i Fronti e le Colonne in modo da consentire un’efficace centralizzazione dell’informazione e una rapida esecuzione delle direttive. Tutte le azioni militari di carattere generale devono essere approvate dal CE. Tutte le azioni d’esproprio devono essere approvate dal CE. Per decisioni particolarmente importanti che impegnano l’Organizzazione il CE dovrà consultarsi con i vari membri della DS. Il CE potrà applicare quelle sanzioni che riterrà più idonee a garantire la disciplina rivoluzionaria. Al CE spetta la responsabilità dell’amministrazione e del patrimonio dell‘Organizzazione. Spetta anche al CE la responsabilità politica della stampa d’Organizzazione e dell’emissione di comunicati politici generali. I membri del CE non devono avere rapporti politici con l’esterno dell‘Organizzazione. Non devono svolgere azione di reclutamento. Devono restringere all’indispensabile e tendenzialmente eliminare anche i rapporti con le FI. Essi partecipano, come tutti gli altri membri dell’Organizzazione, alle azioni militari, d’esproprio e ai lavori manuali.

 

(qui la versione integrale del documento BR)

 


 

Questo tipo di organizzazione rendeva le BR un gruppo difficilmente “smantellabile” per via del fatto che i vertici erano clandestini e per la compartimentazione elevata quasi ad ideologia. Ad esempio ogni militante appartenete al Fronte della Logistica conosceva gli appartenenti di tali sotto-organizzazione a livello nazionale ma non aveva la possibilità di conoscere gli irregolari, come — altro esempio — il capo brigata conosceva tutti i suoi irregolari ma non aveva approfondita conoscenza dei militanti clandestini appartenenti ai Fronti di altre colonne. Bisogna subito dire che nonostante la cura maniacale per la clandestinità e le regole, non sempre queste stesse norme vennero seguite scrupolosamente. Prova ne è l’arresto contemporaneo di Franceschini e Curcio avvenuta grazie ad un infiltrazione durata pochi giorni.

 


 

Un esempio di questa — almeno a livello teorico — cura si può leggere su un vademecum brigatista.

Note di comportamento
Il lavoro politico di ogni compagno si svolge all’interno di una colonna. Tutti i rapporti politici devono dunque essere controllati e valutati. Non si deve mai andare a un appuntamento o fare un lavoro particolare senza che qualcun altro dell’organizzazione non ne sia al corrente. In particolare per contatti con nuovi elementi esterni è necessaria una discussione preventiva coi responsabili della colonna.
Viaggiando evitare ogni occasione di litigio; guidare con estrema prudenza e totale rispetto del codice stradale.
APPUNTI: 1.Non si prendono se riguardano l’organizzazione e la sua vita: si memorizzano. 2.Valgono per tutte le analisi generali, evitando di indicare nomi, luoghi, situazioni determinanti. 3.Non dimenticarli, non portarli con sé in azione. 4.prestarli solo in caso di reale necessità. 5.Non vi devono figurare né indirizzi né tanto meno numeri telefonici.
DISCORSI: 1.Evitare discussioni sulla vita dell’organizzazione -anche con compagni- fuori dalle sedi adatte. 2.Nei luoghi pubblici, quando ci si trova tra compagni, si evitano pre o post riunioni: questo specie in vicinanza delle sedi. 3.Partire dall’ipotesi che tutti i telefoni sono controllati e quindi limitarne l’uso a brevi comunicazioni.
MACCHINE: Anche la macchina è un bene che l’organizzazione dà in dotazione al compagno. Egli è dunque responsabile della sua manutenzione. I documenti della macchina vanno accuratamente controllati al momento della consegna per verificare eventuali imperfezioni. Essi vanno inoltre periodicamente controllati tenendo presenti le varie scadenze dei bolli, della patente. La macchina all’interno deve figurare ordinata. Non devono esserci accumulati giornali di ogni genere, volantini o cartacce. Ogni sera occorre togliere l’eventuale radio o mangianastri, o altro che possa attirare l’attenzione dei ladruncoli. Per principio ogni militante deve presentarsi con aria rassicurante e gentile con i vicini di casa, ma è assolutamente necessaria una stretta riservatezza. È molto importante per l’organizzazione riuscire a non farsi fotografare o tanto meno riprendere in TV.
PERSONA: Ogni compagno deve essere decorosamente vestito ed in ordine nella persona: barba fatta, capelli tagliati. È bene girare con non più di due documenti e cioè la patente e una carta d’identità non legata ad alcunché. Bisogna avere con se solo il materiale strettamente necessario al lavoro che si sta conducendo. Ogni militate dovrà portare la propria arma addosso.
RAPPORTI CON COMPAGNI ESTERNI ALL’ORGANIZZAZIONE: Per nessun motivo i compagni delle forze regolari devono frequentare le case dei compagni irregolari o di militanti non completamente esterni all’organizzazione. 1.Con tali compagni la discussione riguarda esclusivamente le analisi generali e la strategia. Non si deve fare assolutamente alcun riferimento all’organizzazione.
Queste note non basta averle in tasca o in testa: si devono assimilare e mettere in pratica sin da ora. Poi si distruggono.

OGNI LEGGEREZZA E’ L’INIZIO DI UN TRADIMENTO. ANCHE SENZA VOLERLO POSSIAMO COMPORTARCI DA SPIE E DA DELATORI. IL IL RISULTATO NON CAMBIA: LA SI PAGHERA’ CARA.

(qui la versione integrale del documento delle BR sulle norme della clandestinità)

 


 

Per quanto riguarda la “politica estera” sono noti alcuni contatti con la Rote Armee Fraktion (RAF) presente nella Germania Ovest, la minoranza oltranzista dell’OLP palestinese, e alcuni ambienti dell’estrema sinistra parigina. In realtà con la RAF non ci fu una piena assonanza ideologica in quanto per le BR il gruppo tedesco dava poco spazio al movimento operaio ed era troppo appiattito sulle posizioni dell’Unione Sovietica colpevole per i brigatisti italiani di “socialimperialismo”. Mentre i contatti con l’OLP erano di natura prettamente strategica, di scambio armi ed informazioni.

Le varie commissioni d’inchiesta sul terrorismo in Italia hanno dato per (quasi) sicuro anche un certo attivismo (infiltrazioni nelle BR) dei servizi segreti israeliani, preoccupati che l’avanzare del PCI nella società italiana e nel governo nazionale avrebbe fatto virare “l’anello debole” italiano verso una politica estera filo-palestinese.

Alcune considerazione della commissione d’inchiesta su Aldo Moro e il terrorismo delle BR in merito alla RAF e all’organizzazione palestinese OLP.

 

Il passaggio dalla propaganda armata all’attacco contro il potere democratico

Le operazioni in fabbrica servirono alle Brigate Rosse per “farsi conoscere” e per arruolare il maggior numero di militanti — specialmente operai — alla propria causa. Gli incendi alle ditte, i rapimenti dei datori di lavoro e dirigenti di fabbrica, furono solo un passaggio obbligato per acquisire la prassi movimentista e violenta e per avere un numero sufficiente di militanti tale da poter far sorgere il partito armato con tutte le sue articolazioni burocratiche. Questa prima fase risultò vincente per la propaganda; pensiamo al motto “punirne uno per educarne cento” inventato durante il rapimento del dirigenti Idalgo Macchiarini. E’ il periodo del maggior consenso politico delle BR, il periodo del “né con lo stato né con le BR“. Bisogna aggiungere che il periodo storico dell’epoca 70-74 (primi anni delle BR) fu un periodo in cui usare la razionalità era impresa non facile; questa non deve essere presa come scusante — omicidi ideologici e quindi premeditati in società che permettono l’espressione democratica non sono scusabili — ma non si possono tacere le violenze e le sopraffazioni che molti lavoratori subivano (soprattutto nel sud dove la legalità dentro e fuori i posti di lavoro erano assai scarse) e le stragi che rimanevano impunite anche per opera di appartenenti allo stato. E’ il periodo subito dopo la strage di Piazza Fontana e che vide un’ulteriore e tremendo attacco stragista a Brescia in Piazza della Loggia.

Lasciando perdere i fatti processuali era pensiero diffuso che quelle stragi fossero “stragi di stato“; questo — a livello socio-culturale — fu un peso devastante per la convivenza civile del paese.

Nelle parole di Franceschini si nota come questa ambiguità sulle stragi pesasse in modo dirimente, quasi di prova decisiva a carico dell’anti-democraticità sostanziale del Governo nazionale.

 

[“La notte della repubblica” Sergio Zavoli]

 

Il rapimento Sossi

In questo clima si arriva nel 1974 al rapimento di un magistrato a Genova, Mario Sossi che stava indagando sul movimento estremista XXII Ottobre. Questo rapimento segna la svolta di cui si discuteva sopra: l’attacco diretto alla stato, in questo caso ad uno degli organi, la magistratura. Come “prezzo” politico da pagare le BR richiedono la scarcerazione dei militanti della XXII Ottobre. Si delinea tra gli appartenenti allo stato sotto varie forme (politici, magistrati ecc ecc) una contrapposizione tra la linea della fermezza e quella della trattativa. Si avrà uno spaccato di quello che succederà poco più tardi quando le brigate rosse sequestreranno l’Onorevole Aldo Moro, Segretario della DC.

 

[“Rapimento Sossi” Rai Storia]

 

Oramai le “sedicenti brigate rosse” (come venivano chiamate dopo le prime azioni) diventano il punto di riferimento dei gruppi armati di estrema sinistra che vedono nella politica armati di questo gruppo l’unica soluzione per un cambio reale di potere. Lo scontro con i neo-fascisti, la propaganda nelle fabbriche diventano marginali rispetto all’obiettivo principale, e cioè la sostituzione al governo della DC, dei suoi alleati e dei “finti nemici” del PCI con il partito armato delle Brigate Rosse.

E’ il caso di riprendere le affermazioni di Alberto Franceschini sopra, quando gli viene chiesto se con la qualificazione violenta delle loro proposte le BR non facessero il gioco del blocco sociale italiano reazionario. In un periodo di crisi economica con un alto tasso di degrado sociale accompagnato ad una conflittualità ideologica che si estese anche a porzioni di cittadinanza non coinvolta in estremismi, questa è una domanda che — a posteriori — sembra centrare un punto importante. Quel periodo storico sembrò portare, in una sorta di spirale fatalistica, le posizioni contrarie (che magari in partenza potevano considerarsi moderate) ad estremizzarsi. Dopo Piazza Fontana, i movimenti estremisti si organizzano in vere e proprie bande armate (XXII Ottobre, Prima Linea, Brigate Rosse); una volta egemonizzata l’area antagonista dell’estrema sinistra movimentista le BR “alzano il tiro” ed “escono dalle fabbriche” per combattere direttamente lo Stato. Nel caso Sossi, la Magistratura.

Forse sarà un caso, forse no. Comunque, il rapimento del Procuratore di Genova è del 18 aprile 1974, viene rilasciato il 23 maggio. Il 28 maggio a Brescia in Piazza della Loggia succede questo…

 

[Strage Piazza della Loggia Brescia]

 

Dopo le bombe di Roma e Milano, dopo Gioia Tauro, un’ altra bomba. Un’altra strage, 8 morti a Piazza della Loggia. Si fa strada l’idea — anche da parte di ambienti moderati — di uno stato, se non colpevole, poco trasparente quando si devono scovare i colpevoli; i movimenti di estrema sinistra armati assicurano che penseranno loro a fare “giustizia” in modo sbrigativo sui colpevoli, siano essi neo-fascisti, magistrati o politici. La giovane Repubblica Italiana non è mai stata così vicina ad una guerra civile.

Di certo il 1974 segna un ulteriore incremento ed evoluzione dello scontro armato. Per fermarlo si farà strada, tra la classe dirigente e politica, l’idea del “governo di salute nazionale” per cercare di includere alcune rivendicazioni che venivano dalla parte più esposta alla crisi economica e sociale del paese. L’intenzione da parte dei politici di allora era di ipotizzare un “compromesso storico” tra le due grandi forze sociali del paese: la DC e il PCI.

Un accordo ai più alti livelli; malvisto da molte parti, dagli americani su tutti. Un accordo che “smussava” le contrapposizioni ideologiche e che — per questo — non era ben visto sia dalle BR sia da chi — all’interno dei reparti militari e dei servizi segreti — grazie a quella contrapposizione aveva costruito carriere e potere.

 


 

Prima Parte

Seconda Parte

 

 

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