La III guerra mondiale. Quarta Parte

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9) L’assedio di Vukovar

“Tacevamo perché sentivamo di avvicinarci a qualcosa di inconcepibile, che avevamo visto solo nei manuali di storia.” Paolo Rumiz

Vukovar, piccola cittadina di confine tra Croazia e Serbia, viene riempita di soldati e milizie croate. La sua collocazione geografica — strategica militarmente — la pone come il più probabile primo obiettivo di guerra. Le forze della federazione jugoslava muovono proprio verso il confine nord occidentale della della Serbia. E’ il 24 Agosto 1991, l’assedio dura 87 giorni.

L’esercito federale prepara un attacco con armi pesanti pensando che un combattimento casa per casa darebbe un vantaggio strategico-militare al nemico. Città da conquistare, armi pesanti, strategie militari… guerra. Ma come si arriva a tanto? Una risposta ovviamente non c’è; si può solo ricostruire il periodo storico antecedente e vedere se — confrontando altri momenti pre conflitto — si possono trovare inquietanti analogie. Le analogie qua, per ragioni di spazio, non le posso fare ma è del tutto evidente che questo procedimento analitico ogni persona dotata di volontà può farlo.

Dunque…
Tenendo conto che una regressione infinita di causa-effetto ci porterebbe agi albori della civiltà umana, parto dalla dichiarazione di indipendenza croata.

10) Come si arriva allo scontro armato

L’odio etnico si coltiva nel tempo. Con drammatica precisione. Si deve arrivare al punto che per non soccombere ci si deve schierare con il “simile” a noi. La differenza sta proprio in questo: e cioè che — dopo che la società è stata divisa in due entità conflittuali — non è più possibile una terza via. O meglio, la terza via è la morte.

La Croazia, lungo il confine con la Serbia, ha ampie zone dove i serbi sono maggioranza. Non aiuta avere come rappresentante un nazionalista (“non ho mai avuto come moglie né una ebrea né una serba”, ci fa sapere); e non aiuta averlo quando ci sono strascichi storici tra le due popolazioni di assoluta pericolosità sociale. Un atteggiamento rigido non può che trovarne uno uguale nella quantità e contrario nei contenuti. Si prende il passato (non tutto, la parte che interessa) e lo si utilizza per i propri scopi; dopo si opera una semplificazione escludente e livellante: i croati sono “tutti” ustascia fascisti, i serbi “tutti” nazionalisti dominatori. Quindi si parte con l’odio divulgato mediante la parola.

Fascisti? Genocidio? Beh, sarà il caso che mi porti il fucile anche quando ritiro i panni…
Tensione. La costituzione croata viene modifica in modo tale che i serbi non sono più “popolo costitutivo” della nazione insieme ai croati ma vengono retrocessi a minoranza “tutelata”. La regione serba della Krajina si stacca e proclama la sua indipendenza amministrativa volgendosi verso Belgrado. Ancora tensione. Dalle parole ai fatti. La polizia locale croata comincia ad armarsi. Durante una viaggio su un bus probabilmente carico di armi, dodici poliziotti croati vengono uccisi a Borovo Selo dalle forze paramilitari serbe; siamo ben al di là di semplici scaramucce, si cominciano a contare i morti.

Gli USA e la Russia non hanno al momento intenzione di intervenire. Paradossalmente hanno lo stesso interesse: che la Jugoslavia non si dissolva. La comunità europea assiste impotente ad un dialogo tra sordi. Viene presentato un abbozzo di accordo subito rimandato al mittente da Slobodan Milosevic e Franjo Tudman. Le parti sono distanti come non mai.

Bisogna dire che la posizione di Milosevic non è facile, e in questo si nota la difficoltà diplomatica internazionale di capire la complessità della situazione nei Balcani. E’ del tutto ovvio che i serbi non possono accettare l’indipendenza della Croazia con i confini attuali come hanno fatto con la Slovenia, terra omogenea e popolata da persone che si sentono “occidentali”. E’ anche difficile pensare che una nazione — anche se federata — accetti senza problemi una perdita totale di sovranità su un territorio importante e in più popolato da una etnia che si riconosce nella capitale Belgrado. Milosevic lo dice apertamente: “Non accetto che con un tratto di penna venga dissolta una nazione”.

 

 


 

 

11) La diplomazia inadeguata

La pachidermica burocrazia europea comincia a muoversi. La Germania è la prima. Spinge per riconoscere l’indipendenza della Croazia. Il Vaticano — prima volta nella sua storia diplomatica — riconosce l’indipendenza senza aspettare una pronuncia della comunità internazionale. Belgrado risponde con il sollevamento dall’incarico di ambasciatore presso il Vaticano del croato Mastruko, colpevole di essersi schierato “senza riguardi al servizio della politica croata”. Francesco Cossiga si accoda con la sua (per alcuni criticabile) posizione troppo favorevole alla Slovenia e Croazia. “Roba da Nazisti”, afferma riferendosi alle operazioni militari dell’armata federale jugoslava; è il primo Presidente europeo che visita le nuove Repubbliche indipendenti. La Francia e la Russia, su sponda serba, non intendono seguire i tedeschi ma sperano di salvare il salvabile rinviando ancora a data da destinarsi il riconoscimento internazionale delle due regioni, adesso autoproclamatesi Repubbliche indipendenti. In Italia si assiste anche al piccolo (in confronto alle tragedie sul confine serbo-croato) caso diplomatico dell’Istria, intrappolata tra beghe Italo-Slovene-Croate. Inoltre Gianni De Michelis cerca autonomamente di attivare canali economici bilaterali con il Montenegro, paese satellite serbo. Questo senza confrontarsi con le altre parti in causa e con l’evidente disapprovazione di Jovic, il quale pensa che l’Italia voglia “comprare” la firma di Momir Bulatovic (uomo di fiducia di Milosevic o per meglio dire ex uomo di fiducia) sull’accordo di pace uscito dalla commissione di pace europea.

Molta confusione anche sulle strategie diplomatiche da adottare nell’immediato futuro. Gli USA attuano l’embargo delle armi su tutto il territorio della Jugoslavia, l’Europa solo per i serbi. Comunque, i serbi hanno una superiorità bellica dovuta alla loro predominanza etnica tra il comando militare e che permette loro di utilizzare l’esercito jugoslavo come proprio. In Croazia però la polizia locale e le forze paramilitari riescono ad impossessarsi delle armi nei depositi delle caserme nelle zone da loro controllate. A livello interno la Serbia cerca l’appoggio politico del Montenegro di Bulatovic dato che la Russia — impegnata nella ricostruzione post comunista della società — non vuole intervenire militarmente, mentre la Croazia — almeno a livello potenziale — dispone di alleati di tutto rispetto come la Germania e l’Ungheria.

Il consolidarsi delle alleanze internazionali non hanno una ragione razionale singola che analizza il solo presente storico e le condizioni economiche ma hanno radici profonde e sono radicate nella popolazione in forma di memoria collettiva. Di solito ci può essere una sorta di “ringraziamento” per le comuni battaglie storiche, o anche influenze di carattere culturale, oppure entrambe le cose. Insomma, viene percepito un legame comune da parte di due popolazioni appartenenti a nazioni differenti. Ad esempio il legame tra Germania e Croazia è risultato molto forte durante la guerra serbo-croata e non si spiega con affinità ideologiche o economiche (o comunque non solo). Può capitare che un croato (che non sia né un nazionalista convinto né un militante politicizzato ma un semplice cittadino) possa dare una risposta nel merito che illumina meglio dello studio di svariati libri di politica e saggistica internazionale, come ad esempio.

“C’è un forte collegamento storico tra loro e noi. E sempre stato un paese amico. La Croazia per secoli faceva parte dell’ Impero Austriaco. Tra le due nazioni è sempre esistito uno scambio culturale. Tra i primi ginnasi da noi c’erano quelli fondati dai Gesuiti austriaci (Augustineum). Ancora oggi c’è una minoranza tedesca, rimasta anche dopo la II Guerra Mondiale. Anticamente eravamo visti dalla Austria-Ungheria e della Germania come i guardiani del Vecchio Continente, ultimo baluardo contro l’avanzata Ottomana.”
Snatch

Ecco qua. Niente ardimentose spiegazioni cultural-filosofiche, niente rimandi a tomi illeggibili di politica internazionale. Un pensiero conciso, lineare, che serve allo spettatore per la comprensione del comportamento diplomatico di due importanti nazioni, e che si potrebbe chiedere come mai la Germania si sia spesa con forze in una politica favorevole alla Croazia.

A questo proposito ecco le motivazioni di Bulatovic e Jovic espresse in prima persona e molto dirette.

I tre mesi che la comunità europea si era data di tempo per raggiungere un accordo tra le parti scade con un nulla di fatto. La guerra continua attraversando periodi più o meno intensi di battaglia e crudeltà. Nel mentre passano altri mesi con la diplomazia politica che dà un plastico esempio di inadeguatezza. Di sotto alcuni esempi presi dalla cronaca del “Corriere della Sera” del 15 e 16 Gennaio 1992. Sono passati quasi sei mesi dall’assedio di Vukovar e i veti, i distinguo, dei vari politici europei fanno sì che la situazione in Croazia sia del tutto ancora da risolvere e — soprattutto — nessuno sembra rendersi conto che le tre etnie in Bosnia Erzegovina sono in grave pericolo.

“Fino a ieri sera sembrava scontato che il riconoscimento immediato dovesse andare a Croazia e Slovenia. Ma in nottata si è appreso da Bruxelles che la Commissione d’ arbitraggio della Cee sulla Jugoslavia ha dato “luce verde” soltanto al riconoscimento di Slovenia e Macedonia da parte dei Dodici, mentre la Croazia non e’ ancora in grado di soddisfare le condizioni richieste. E allo stesso modo non sono stati giudicati maturi i tempi per un riconoscimento della Bosnia-Erzegovina. Il parere della Commissione sarà sottoposto oggi al Comitato politico della Cee a Lisbona.”
Corriere della Sera, 15 gennaio 1992
“Il riconoscimento diplomatico dell’ Europa, a dir la verità , è stato raggiunto dopo che all’ ultimo momento si era profilata una spaccatura: la commissione di arbitrato comunitaria, infatti, aveva sconsigliato il riconoscimento della Croazia perché la sua Costituzione ancora non prevede la tutela dei diritti della minoranza serba. Ma la Germania, grande protettrice delle due Repubbliche, l’ ha spuntata. Strappando una grande vittoria diplomatica, Bonn ha ottenuto che venisse accettata per buona la promessa croata di modificare nel prossimo futuro la Costituzione. In Italia la soddisfazione per il riconoscimento è stata invece turbata da un incidente che ha riaperto la vecchia ferita delle minoranze italiana e slovena che vivono a cavallo del confine con la Slovenia. Il governo di Lubiana non ha firmato il protocollo triangolare (con la Croazia) sulla tutela degli italiani dell’ Istria perché ha obiettato che manca ancora reciprocità: gli slavi del Friuli non godrebbero di uguali diritti.”
Corriere della Sera, 16 gennaio 1992

 


 

12) E per finire arriva la guerra totale

Quando la diplomazia fallisce, parlano le armi.
Perché definisco la guerra (o meglio l’insieme di guerre) dei Balcani come guerra totale? Perché — per la prima volta, forse — si utilizza non solo la forza bellica e la sua tecnologia ma si usa anche la “psicologia” come arma. Questo tipo di guerra utilizza la forza dell’uomo nella sua totalità, sommando la violenza fisica a quella psicologica. Tornerò su concetti come pulizia etnica, crimini contro l’umanità e genocidio; basterà qui solo accennare che sono tre tipologie di uso del terrore e della morte in chiave psicologica (oltre che materiale s’intende) con tratti comuni ma diverse tra loro.

Non basta più uccidere il nemico in armi, il soldato con la divisa diversa; va colpito il suo villaggio, i suoi conoscenti, la sua famiglia. Non si deve uccidere il più alto numero di militari ma va fatto nella maniera più cruenta. Si stuprano le donne per devastarle e annullare i loro compagni. Non tutti “accettano” la sfida al rialzo spaventosamente crudele, alcuni (non siamo tutti eroi, anzi se ne contano pochi) vengono schiacciati dalla paura di non reggere le mostruosità che sono gioco forza costretti a fare nel caso di scontro. Per quanto si possa sentire la rabbia violenta e la volontà di vendicare stupri e omicidi, molti non sentono come “giusta” una battaglia che ha come fondamento un codice militare di rialzo alla disumanità e che inoltre non può che portare ad atti ancora più orribili, ancora più disumani. Nella guerra totale la resa del nemico non è contemplata.

[ ATTENZIONE: immagini forti ]

Ormai è guerra totale. La città di Vukovar è sotto assedio. Ma al peggio non c’è fine e la possibilità che l’incendio divampi in Bosnia Erzegovina è tanto probabile quanto potenzialmente catastrofico. Qui, in Bosnia, ci sono i musulmani bosniaci (bosgnacchi), i cattolici croati e i serbi ortodossi. Sarajevo sembra la prossima vittima di questa scriteriata corsa alla crudeltà. Perché la guerra altro non è che una gara a chi perde la sua umanità più velocemente del nemico.

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