La guerra nei Balcani – Sesta Parte –

La III Guerra Mondiale

Sesta Parte


Indice

1) Prima Parte
1.1) Premessa storica
1.2) La Jugoslavia post Tito
2) Seconda Parte
2.3) I nazionalismi etnici travolgono i Balcani
2.4) Ma perché proprio il Kosovo?
2.5) Armatevi e partite
3) Terza Parte
3.6) Non si scherza più
3.7) La parola alle armi
3.8) La guerra serbo-croata
4) Quarta Parte
4.9) L’assedio di Vukovar
4.10) Come si arriva allo sontro armato
4.11) La diplomazia inadeguata
4.12) E per finire arriva la guerra totale
5) Quinta Parte
5.13) La guerra civile in Bosnia Erzegovina
5.14) Il referendum e l’inizio della catastrofe
5.15) La manifestazione per la pace e i primi scontri armati
5.16) Il rapimento di Izetbegovic
5.17) Il rilascio di Izetbegovic
6) Sesta Parte
6.18) Un po’ di chiarezza
6.19) L’arrivo dei caschi blu
6.20) I primi contrasti tra Milosevic e Karadzic
6.21) Entrano in scena gli USA di Bill Clinton


 

18) Un po’ di chiarezza


“Nowhere could you stand on the concrete floor without stepping on a dead body”

Processo Maggiore Generale Radislav Krstic, “Srebrenica Crimes” ICTY

 

strada

 

E’ del tutto ovvio che stilare un dettagliato dossier delle forze in campo — politiche e militari — nell’area balcanica nel periodo in esame è opera di difficile attuazione ma due parole si possono dire. Il potere nella ex Jugoslavia era decentrato ed ogni Repubblica o Regione Autonoma aveva la sua polizia e i suoi centri di addestramento e raccolta armi. Dopo l’indipendenza della Slovenia e Croazia questi centri formano le milizie autonome dei nuovi stati.

Milosevic come prima cosa cerca di prendere il potere del MUP, il ministero dell’interno serbo, e della JNA, l’armata federale militare. In teoria il MUP dovrebbe essere un potere indipendente ma il leader serbo mette nel posto di comando un suo uomo di fiducia: Jovica Stanisic. La JNA, organizzazione multietnica e che dovrebbe rappresentare gli interessi di tutte le Repubbliche ed etnie, diviene col tempo la forza militare della sola Serbia. Ad essa si affiancano le formazioni paramilitari e organizzazioni politiche, partitiche esterne al suolo serbo che operano sia in Croazia che in Bosnia. I comandanti e i politici che non appoggiano l’ideale della “Grande Serbia” vengono epurati. L’autoproclamata Repubblica Serba della Bosnia ha come capo indiscusso Karadzic, non sempre in accordo con Milosevic, e dispone del proprio esercito nel territorio chiamato Esercito della Repubblica Serba (VRS) agli ordini di Mladic. Questo esercito — seppur non ufficialmente — dispone di uomini e mezzi derivanti dalla JNA ed è continuamente in contatto con Belgrado. Nelle zone di maggior conflitto etnico operano le forza paramilitari serbe, tra le quali quelle di Vojislav  Seselj e Zeljko Raznatovic, detto Arkan.


Per la Croazia il processo è simile anche se su scala ridotta. Il partito nazionalista al potere manda uomini e mezzi nella Bosnia meridionale a scopo “preventivo”.


Nel caso della Bosnia musulmana e anti-serba invece abbiamo la polizia e i centri di potere militari che vengono “depurati” dai nemici politici e confluiscono nella nuova forza statale militare dell’Armata della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina (ARBiH). A queste forze regolari si affiancano gruppi paramilitari interni ed esterni come le guardie rivoluzionarie khomeiniste e i guerriglieri libanesi Hezbollah, nonché oppositori dei movimenti etno-nazionalisti croati e serbi. Le zone dove le truppe politico-militari di Izetbegovic hanno il predominio militare sono principalmente quelle centrali.


Sempre per una maggiore comprensione, ecco una cartina della Jugoslavia in cui può vedere la composizione etnica nel territorio dei Balcani nel 1991.

mix


19) L’arrivo dei caschi blu


Nel 1993 la situazione nella Bosnia centro-orientale è talmente disperata che l’ONU invia i caschi blu come forza di interposizione e vengono create le così dette “safe area”, zone in cui il cessate il fuoco deve essere rispettato da tutti i belligeranti. Tra queste zone c’è anche Srebrenica. Questa zona, come altre al confine con la Serbia, sono piene di bosniaci musulmani (bosgnacchi) e anti-serbi confluiti dalle zone circostanti in cui la VRS Serba ha sconfitto e espulso la resistenza dell’esercito regolare o paramilitare bosniaco della ARBiH.


A Srebrenica arriva il Generale Philippe Morillon. La smilitarizzazione della città preoccupa le truppe bosniache in vista di un possibile attacco dei serbo-bosniaci accampati nelle pianure e colline poco distanti. Se le truppe ONU se ne dovessero andare si troverebbero disarmati e infatti la prima domanda al generale è: “Per quanto rimarrete?”; il Generale — forse in maniera non del tutto sincera — risponde: “Fin quando volete”. 

 

 

La successiva domanda sarebbe dovuta essere: “Per fare cosa?”. Anche perché questa situazione ambigua non calma i combattenti musulmani che infatti non rispetteranno la risoluzione ONU continuandosi ad armare. I civili — già terrorizzati dalle precedenti fughe e  combattimenti — vedono l’arrivo del contingente internazionale come l’invio di difensori eroici della povera gente. Gli USA e UK non sono ancora pienamente convinti per cui — numericamente — i caschi blu, per eventuali scontri militari tra opposti eserciti, hanno bisogno del supporto aereo. La potenzialità bellica che può sprigionare la comunità internazionale occidentale è ovviamente incontrastabile dagli eserciti militari e paramilitari presenti nei Balcani. L’unico esercito degno di tale nome (per potenza, armamenti e organizzazione) è il JNA, erede della macchina bellica titina. Ma l’esercito federale è ormai un esercito serbo e — inoltre — non ha più i vari quartier generali federali sparsi per il territorio (la sua vera forza); in più Milosevic non ha nessuna intenzione di utilizzare l’esercito militare “ufficialmente”. La forza militare dei serbi è composta, oltre che dai paramilitari, dalla VRS della Repubblica Serbia della Bosnia.

 


E qui faccio una digressione del tutto personale. Come precedentemente scritto, nei Balcani si assiste ad una guerra civile in cui il bersaglio civile è un bersaglio strategico utilizzato da tutte le forze in campo per vincere la guerra anche dal punto di vista psicologico. Non c’è differenza tra aprire il fuoco contro truppe nemiche o contro civili inermi. Questa premessa deve essere chiara quando si parla di intervento armato. Ci sono sempre state numerose polemiche in merito agli interventi nei confronti di uno stato sovrano, anche in Italia. Per fare un esempio — sempre riguardante i Balcani — il governo guidato da Massimo D’Alema ha dovuto fronteggiare critiche sia interne (dalla sinistra filo-serba) sia dell’opposizione per la questione della minoranza albanese del Kosovo. E’ vero che i bombardamenti, per quanto tecnologici possano essere, portano con sè un numero variabile di morti civili. Mi fa rabbrividire il solo pensarlo e parlarne razionalmente mi causa inquietudine. Questo è assolutamente vero ma, ed è un punto che molti faticavano e faticano tutt’oggi a comprendere, in una guerra di pulizia etnica e genocidio non fare nulla avrebbe causato la morte di molti più civili. La scelta di un intervento armato in uno stato sovrano è sempre una scelta difficile ma quando i militari sparano sui civili il non fare nulla o far finta di fare è “criminale“. In quanto non esperto di strategia militare non so se l’utilizzo della forza sia stato usato bene in Bosnia e in Kosovo (ho i miei dubbi) o male. Quello che so è che un intervento era doveroso e — per di più — voluto dalla stessa popolazione civile in difficoltà.



Questo è quello che succede quando il Generale Morillon decide di andarsene dalla “safe area” di Srebrenica…

Calm down

Calmatevi“. I caschi blu rimangono in città. Rimarranno fino al luglio del 1995…


 

20) I primi contrasti tra Milosevic e Karadzic


La comunità internazionale si presenta a Belgrado il 24 aprile 1993 con in mano il piano Vance-Owen che consiste in una divisione in cantoni etnici della Bosnia. Il piano, nonostante sia sbagliato nella sostanza in quanto risulta impossibile dividere molte zone  etnicamente miste, viene approvato da Milosevic. Anche il presidente del Montenegro — uomo di fiducia di Milosevic — Bulatovic concorda. Non la pensa allo stesso modo Karadzic. Comunque, dopo alcune modifiche e pressioni internazionali, il piano viene firmato ad Atene il primo maggio.


Il 5 maggio viene convocata una assemblea del partito serbo di bosnia. Durante la riunione si nota come il conflitto tra i due capi serbi avvantaggi la spregiudicatezza del militare Mladic. Con una mossa a sorpresa il generale della VRS confronta due mappe dei confini dei territori serbi in Bosnia conquistati e li paragona ai confini che entreranno in vigore dopo l’accordo. E’ ovviamente una mossa propagandistica che fa presa sui delegati e pone i politici con le spalle al muro. La cessione di molte zone conquistate fa parte della mediazione faticosamente raggiunta con la comunità europea; quest’opera di mediazione politico-strategica viene spazzata via con un colpo di teatro di Mladic che afferma, durante il suo intervento, in maniera provocatoria che “solo i militari vedono chiaramente la situazione“. Milosevic non ha più quella sicurezza di prima; il suo intervento non “rovescia” il vantaggio di Mladic ed in più Karadzic non è del tutto convinto. Quando si intraprende la strada dell’estremismo nazionalista non si può tentennare, si viene scavalcati da persone più estremiste. E se tra queste persone c’è un militare le cose si complicano assai.


L’assemblea non ratifica l’accordo. Tutti gli sforzi per un cessate il fuoco duraturo falliscono.



21) Entrano in scena gli USA di Bill Clinton


Dopo il cambio di presidenza in USA, Bill Clinton attua una politica estera più presente in Europa. Il fallimento dell’accordo Vance-Owen e il conseguente precipitare degli eventi porta l’opinione pubblica statunitense ad interessarsi al conflitto nei Balcani. Se ne discute in televisione e si leggono sempre più spesso articoli sulla situazione insostenibile nella ex Jugoslavia. La presenza convinta degli USA ha come prima conseguenza politica riunire sotto un unico “comando” la strategia diplomatica e militare della comunità internazionale, mettendo in secondo piano le divergenze franco-tedesche che hanno creato in molte situazioni uno stallo poco produttivo.


Must do something…

Nel sud della Bosnia si apre anche il fronte croato. La situazione somiglia sempre più ad un tutti contro tutti in cui i caschi blu non riescono ad imporsi con la forza. Non c’è la volontà politica. Gli aerei rimangono a terra e i soldati ONU sono costretti a combattere spesso in inferiorità di uomini. I “posti di osservazione” (observation posts, OPs) vengono presi d’assalto dalle truppe militari e paramilitari di ogni schieramento, soprattutto i serbo-bosniaci forti di un supporto logistico e strategico che li pone tecnologicamente e militarmente quasi al livello della potenza alleata.

Come esemplificazione della distanza tra diplomazia politica e campo militare, ecco cosa succede a Gorazde, enclave musulmana, sotto protezione dell’alleanza, anch’essa zona dichiarata “safe area”. Mentre i capi politici discutono su nuovi possibili scenari i serbi attaccano la città e il vicino OP dei caschi blu. Il generale UN Michael Rose chiama il suo rappresentante che si trova insieme a Karadzic e gli dice: Ho bisogno del supporto aereo ora“; la risposta che riceve è:”Ma Karadzic non ha dato ordine ai suoi di cessare il fuoco?“. Il diplomatico ragiona ancora come se parlasse con altri politici e non afferra bene la tragicità del momento. Il Generale a questo punto cerca di far comprendere la realtà al diplomatico con una frase asciutta ma di sicuro impatto :”Se non riceviamo aiuto, il tempo che arriva l’ordine alle truppe di terra, saranno tutti morti o catturati“. Si deve arrivare a questo punto per utilizzare a pieno tutte le potenzialità belliche dell’ONU. L’intervento aereo arriva e salva i caschi blu. Rimane il fatto — fondamentale militarmente — che le truppe di Mladic non si tirano indietro neanche di fronte all’ONU. In pratica una vittoriosa prova di forza.


Introduzione

I video fanno parte del documentario della BBC The Death of Yugoslavia

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