La corsa dei topi – Due parole sul multilevelmarketing, parte 2

Riassunto delle puntate precedenti

Prima di tutto, va detto che ho tirato un po’ per le lunghe la stesura del secondo articolo, abbiate a volermi bene lo stesso.  Nel caso in cui vogliate rileggere il primo, andate qui.

Se non ne aveste voglia (e vi capirei) riassumerò per punti, come piace ai manager moderni che non sanno leggere niente che non sia fatto su slide:

  • Esistono sistemi di vendita diretta che premiano, più che i venditori, i reclutatori, fino ad assumere la stessa struttura di uno schema a piramide stile “Ponzi”. Questo è il Network Marketing o Multilevel Marketing (MLM d’ora in poi)
  • Il vostro Marletto qualche anno fa fece consulenza a un’azienda di MLM non italiana implementandone la extranet per i venditori/reclutatori
  • Il vostro Marletto rimase assai schifato da questa esperienza

Esistono anche diversi aspetti che spingono il vostro Marletto a trovare sinistri paralleli tra il MLM ed il movimento che tanto ci piace dileggiare mediante il pensiero unico di questo blog. Scherzandoci sopra, il vostro Marletto ha anche detto che nel periodo in cui entrò in contatto con il MLM era piuttosto sfigato, e se Peppe avesse fondato il M5S a quei tempi magari il vostro Marletto sarebbe a parlare di scie chimiche in parlamento (ma non credo proprio).

Ed ora, un po’ di storytelling.

Ragazzi meravigliosi, un po’ cazzari ma con facce pulite.

Da un po’ lavoravo tra le altre cose per questa azienda di MLM: avevo già fatto diverse riunioni con loro (erano situati a 200 km da me) e avevano l’aria di essere dei bravi ragazzi, giovani, rampanti, dinamici, alla mano e un po’ cazzari. Sembravano sempre voler scherzare e tra una battuta e l’altra donare perle di filosofia spicciola sul vivere meglio: praticamente un incrocio tra i libri di Fabio Volo e quelli di Louise Hay editi da Macrolibrarsi o da Il Giardino dei Libri. Una filosofia new age fatta di buon senso codificato in massime, per vivere più felici e soprattutto più ricchi.

Perché essere ricco, mi dicevano, è non dipendere dai soldi. Chi è ricco non lavora, ma semplicemente guadagna. L’obiettivo del ricco wannabe, quello che ti impiantano nella testa martellandoti con degli slogan, è quello di avere un reddito passivo. Usavano sempre questa formula magica, “passive income”, che ripetevano, insieme ad altre frasi fatte, infilandola un po’ ovunque, ma mantenendola inalterata.

Frasi studiate ad hoc, frasi storpiate per entrare meglio in testa, secondo le teorie per le quali il cervello filtra via le affermazioni negative. Aggettivi sempre forti. Tutto deve essere fantastico, mitico, eccellente, grandissimo. Verbi in forma attiva, al futuro o al presente, mai modi condizionali o congiuntivi, e comunque usati il meno possibile: meglio sostantivi ben codificati. Mai domandare, ma porre domande come suggerimenti: non dire “Potremmo fare…?” ma “Sarà fantastico se faremo …”

Tanto per fare un esempio: mi colpì come una frase che non aveva nulla a che vedere con il MLM ma in cui una persona qualsiasi avrebbe detto “buona idea, perché non ci provi che magari puoi guadagnarci qualcosa?” uno dei ragazzi meravigliosi disse “Fantastica idea. Sarà grandissimo generare reddito passivo”.

Il profeta del “Passive Income”: Robert T. Kiyosaki. Di lui parleremo nella terza parte (se ci sarà)

Certo, non parlava la sua lingua madre, ma l’inglese lo sapeva bene a sufficienza.

Col senno di poi, ho capito che queste frasi fatte, queste parole magiche, erano una delle due componenti principali della loro particolarissima forma di comunicazione.

Insomma, dicevo prima di divagare, stavo lavorando da qualche mese su questa extranet aziendale. Tutto ok, ogni tanto chiedevo come mai le regole non funzionavano allo stesso modo per tutti e ricevevo come risposta “ops :)” seguita da un lunghissimo pistolotto sul fatto che sì erano agli inizi, ma presto sarebbe arrivato il loro momento, e allora sì che si sarebbe vista la potenzialità del programma pienamente realizzata, per un futuro più luminoso e un mondo migliore in cui un modello di commercio più democratico e più partecipato avrebbe reso gli scambi tra persone più equi più umani, insomma rivoluzionari. Eh? Puppa. Sta di fatto che un giorno vengo invitato dai simpatici cazzari nella loro città per l’EVENTO KICK-OFF dell’anno 200x della loro organizzazione. Avrebbero presentato la extranet e sarebbe stato carino se io fossi stato presente. Bene! si mangia a gratis, mi dico io, e finalmente ho l’attenzione e il riconoscimento che un’Italia matrigna mi aveva sempre negato.

(vi ho detto che ero uno sfigato, no?)

Marletto mi senti? Sono Marletto.

Per farla breve, due giorni dopo arrivo in treno alla loro città e fuori dalla stazione mi attende quella “di rappresentanza” dei ragazzi meravigliosi, una bionda con le tette rifatte appoggiata alla macchina “di rappresentanza”, un Hummer H2. Si sbraccia facendosi un po’ compatire urlando il mio nome in mezzo ad una folla che non sembra proprio voler credere alla rivoluzione del modello di commercio che questi millantano.

Immaginatelo con sopra il logo della compagnia MLM e a bordo una bionda siliconata e un noto imprenditore orvietano di area cattolica, da sempre impegnato nello sport

Salgo sull’Hummer con la bionda pneumatica la quale sghignazzando ammette che non lo ha mai guidato prima (è anche visibilmente brilla) e seminiamo il panico in una tranquillissima città del nord Europa producendoci in diverse curve “a radicchio” su quella specie di finto carro armato giallo.

Arriviamo illesi all’auditorium cittadino (con annessa spa) e improvvisamente nella mia testa inizio a sentire una voce.

“Marletto?”

“Chi è?”

“Sai benissimo chi sono, imbecille. Sono te, o meglio la parte di te che è rimasta coi piedi per terra. Ora capisco che vieni da una grande delusione e l’università ti ha sbriciolato l’autostima, ma pensi davvero che qui dentro tu riuscirai a redimerti dalla sfiga che anche piuttosto ingiustamente ti sei cucito addosso? Guardati, non fai poi così schifo, sei un nerd è vero, hai poca esperienza di vita, ma sei giovane, hai tutto il tempo che vuoi per farti un cv, e poi l’ultima tizia che ti ha lasciato è più vuota di un cartone di tavernello in casa Scanzi quindi manco mi preoccuperei per quello.”

“Scanzi?”

“Lascia perdere. Voglio dire, guardati intorno, tu sei meglio di questa gente. Scappa via!”

E la mia voce interiore ha ragionissima. Quello che vedo nell’auditorium mi causa una stretta allo stomaco non da poco. Vedo ragazzi disoccupati che avevano abbandonato gli studi, che si caricavano urlando come dei frat boys americani, con degli inguardabili completi in poliestere con delle fiamme e dei motivi tribali rosso fuoco disegnati sopra.

Vedo vecchietti col vestito della domenica, che hanno evidentemente investito parte della pensione per entrare in quel circolo vizioso. O magari sono annoiati dalla pensione e hanno deciso di non restare con le mani in mano. O magari chissà, sono stati reclutati da figli/nipoti per avere un’ulteriore fonte di reddito nella propria organizzazione. Mi sembrano disperati.

Vedo 30enni senz’arte né parte, senza particolare voglia di fare qualcosa di normale, perennemente alla ricerca della svolta, per vivere senza fatica, segno per me di una crisi che al tempo non era ancora economica, ma mentale.

E poi vedo loro, i ragazzi meravigliosi. Sempre con quel je-ne-sais-quoi di cazzaro, ma così facce pulite, così sorridenti. La bionda con le tette rifatte intanto si è messa l’abitino scollato e ogni potenziale interesse che riponevo in lei è tragicamente crollato vedendo un orribile tatuaggio tribale che parte dal seno sinistro e finisce Dio (e diverse centinaia di uomini) soltanto sa dove girandole dietro la schiena.

La voce dentro di me canticchia “io l’avevo detto” e la cosa mi manda in bestia, perché sta dando ragione a mamma e papà Cazzone, che mi avevano consigliato di stare lontano da queste cose. Io però voglio fare di testa mia, e malauguratamente e ingenuamente racconto questo ai ragazzi meravigliosi, i quali ripetono meccanicamente (ma sempre sorridendo) che spesso i genitori sono invidiosi del successo dei figli. Loro si sono fatti in quattro tutta la vita per partecipare alla “Rat Race” (altra parola magica ripetuta all’inverosimile), la carriera, il lavoro fine a guadagnare il minimo indispensabile senza godersi la vita, e non sopportano che i figli, senza fatica, abbiano tutto il successo che loro non hanno mai avuto.

Ci ho creduto, per circa due secondi, e tuttora mi vergogno tantissimo di quei due secondi.

The Johnson Treatment

Inizia il “kick-off event”. Mi siedo nelle prime file, mi servono da mangiare, mi danno il tesserino plastificato con la scritta VIP (lo conservo tuttora come monito del fatto che NON ESISTONO SOLDI FACILI).

Vengono chiamate due celebrità della tv locale (che non guardo e quindi non so chi siano), si agitano come due cocainomani per tutto il palco, urlando, schiamazzando in una lingua a me ignota. Io sono ipnotizzato. La ragazza di fianco a me, un’amica della bionda silicontatuata, è anche lei incuriosita (è sempre stata fuori da questo mondo) e per quanto può mi fa da interprete a quello che dicono.

I due in realtà stanno facendo una routine comica che non ha niente a che vedere con l’azienda, ma serve solo a scaldare il pubblico. Tutti ridono e applaudono felici. Ma l’auditorium sembra crollare dagli applausi e dalle urla quando i due imbecilli lasciano il posto ai ragazzi meravigliosi. Se possibile questi si agitano e urlano ancora di più dei precedenti due.

Dopo l’esagitata coreografia (in cui diverse volte le tette della bionda rischiano di strabordare dal vestitino tra le ovazioni della folla festante) i ragazzi meravigliosi si calmano, e il capo del gruppo, apparentemente il più giovane di tutti (diamogli un nome in codice tanto per essere sottili: “Di Maio”, tra virgolette) inizia a parlare.

La ragazza di fianco a me cerca di farmi da interprete, ma il casino è tale che non riesco a sentire nulla. Gli amplificatori sono sparati al massimo, e “Di Maio” sta urlando quasi arrabbiato. faccio cenno alla ragazza di smettere di interpretare tanto non sento nulla, e vedo quella che per me è la seconda componente della loro comunicazione.

Ci avete presente quando vi dicono “non è quello che dici, è come lo dici”? Ecco. Non capisco nulla di quello che dice “Di Maio”, ma il tono della sua voce scorre rapidamente tutto lo spettro delle umane emozioni. Da arrabbiato a giulivo, da commosso a ridanciano, da implorante a ridicolizzante. Tutto in una maniera così veloce e imprevedibile che ne sono completamente rapito, anche se non so di che cosa stia parlando.

Ed è anche questa la mia salvezza, penso. Successivamente mi chiedo che cosa cavolo avesse detto da potermi ipnotizzare così. Una rapida ricerca i fa scoprire che Lyndon B. Johnson, trentaseiesimo presidente degli Stati Uniti, utilizzava la stessa tecnica di cambio repentino di espressione per far crollare le difese dei suoi interlocutori e poterli manipolare a suo piacimento.

The johnson treatment

The Johnson treatment. Un altro modo usato da Johnson per mettere a disagio la gente era tenere  riunioni di gabinetto seduto sul gabinetto. Ci avete presente “The Butler”, no?

Questa tecnica di comunicazione era chiamata “The Johnson Treatment”. A questo aggiungeva il fatto di stare vicinissimo al proprio interlocutore, rompendo la cosiddetta “comfort zone”. Ovviamente “Di Maio” non poteva scendere e parlare vicinissimo ad ognuno di noi, ma compensava tenendo un tono di voce molto alto.

Dopo il discorso chiedo alla mia vicina di tradurre: mi risponde che non ha capito molto bene, che alcune frasi avevano poco senso. Immaginava che fosse una cosa nota solo ai partecipanti.

Io invece immagino che fosse una cosa senza senso, tipo questa.

https://www.youtube.com/watch?v=9p0dE7m5lmI

Frasi d’impatto, atipiche, ripetute più volte + tono del discorso che in qualsiasi altra circostanza ti metterebbe a disagio = crollo delle difese psicologiche contro la manipolazione mentale. Usciti dall’auditorium, si crede a tutto ciò che ci si sente dire. Non è tanto diverso dall’ipnotizzare una gallina massaggiandola sotto l’ala.

La presentazione prosegue, a un certo punto il vice di “Di Maio”, un po’ più anziano ma sempre supergiovanissimo dentro, fuori e tutt’attorno (chiamiamolo “Dibba”) inizia a parlare in inglese, presentando la nuova extranet per la quale avevano chiamato dall’italia il più grande esperto del settore (credici)

“Signore e signori, è qui con noi, venuto dall’Italia, Marletto!”

riflettori su di me, mi alzo, mi giro, saluto, mi risiedo (poi mi prenderanno in giro perché non sono salito correndo sul palco urlando come loro. Come no.)

“Noi lo chiamiamo Fernando perché secondo noi è uguale ad Alonso” (Ma che cacchio sta a dire questo? Quando mai mi hanno chiamato così?) “Un applauso per il nostro Marletto!”

Mi risiedo, finiti i miei 15 secondi di gloria, e aspetto che finisca la conferenza. La mia vicina è spaventata ma non osa dirmelo. Nemmeno io oso dirle che non riesco a quantificare il guaio in cui mi sono cacciato.

Alla fine, azzardo una domanda. “Ma tu, sei iscritta al programma?”

“Intendi dire se sono una venditrice?”

“Esatto.”

“No, e tu?”

“No.”

Tiriamo entrambi un sospiro di sollievo e tacitamente ci ripromettiamo di mantenere così il nostro status di esterni. Io ce la farò, e spero che ce l’abbia fatta anche lei.

Quella sera vado a bere qualcosa con i ragazzi meravigliosi. In realtà bevo molto più di “qualcosa” e infatti non ricordo niente di quella sera, se non che ero andato qualche volta in bagno a guardarmi allo specchio, chiedendo alla voce interiore di prima di aiutarmi a restare coi piedi per terra e a non farmi fregare in alcun modo possibile.

Fortunatamente, anche tutti gli altri sono abbastanza rincoglioniti da non propormi nulla di compromettente.

Il giorno dopo, svegliatomi in un appartamento di non so chi, sgattaiolo via e piglio il treno per tornare a casa, con il cervello che risuona delle urla sentite il pomeriggio precedente e la convinzione sempre più forte che la “Rat Race”, in fondo, non è poi così male.

Conclusione alla seconda parte

Non ho mai frequentato sette, ma non credo che le cerimonie di questi gruppi siano tanto diverse da questa. C’è una cerchia interna (i ragazzi meravigliosi) e gli esterni, quelli che sognano di essere i ragazzi meravigliosi. Che seguono queste presentazioni, in cui portano amici e parenti sperando di aggiungere nuovi elementi alla piramide sotto di sé, tutto questo in una spirale di distruzione dei rapporti umani, della fiducia tra amici e parenti. La distruzione dell’individuo non è solo economica, è anche morale, come ogni setta che si rispetti. E come in ogni setta, ci sono i testi sacri. Se siete d’accordo, se vi va, nella terza parte vi parlerò di alcuni di questi testi e delle loro spettacolari contraddizioni.

 

(Ah, quasi dimenticavo anche se mi pare una cosa ovvia… per partecipare a questo evento, bisognava pagare.)

 

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