Il capolavoro di Renzi

Onestamente c’è poco da dire sull’elezione del Presidente della Repubblica avvenuta ieri, tutto s’è svolto esattamente come doveva andare ed alla fine l’intera questione è stata archiviata nei tempi progettati, il tutto senza imprevisti.

Ok, questa è una descrizione fin troppo sintetica dei fatti ma all’atto pratico chi non s’è informato particolarmente e non ha voluto perdersi fra “maratone” (vedasi Mentana) o ore di dietrologie sfuse fra talk, giornali e quant’altro davanti a quello che è successo ieri non può che vederla così.

Nella pratica i fatti sono abbastanza semplici e si possono riassumere in: Renzi vede tutti (tranne quelli del Movimento 5 Stelle), Renzi parla con tutti, Renzi candida Mattarella, Mattarella viene eletto alla quarta votazione.

Dietro a questo c’è una certa mole di lavoro, un opera di mediazione, di dialogo ed anche una scommessa da parte del segretario del PD che farebbe tremare i polsi a tanta gente ma, in superficie è successo ben poco.

Scendendo nel dettaglio quello che abbiamo visto è stato un esercizio di alta politica, non nel senso di nobiltà ma di capacità di saper trovare il punto giusto e saper applicare il proprio peso dove serve per ottenere un risultato, uscendone vittoriosi da tutti i punti di vista.

Vediamo di spiegarci meglio: l’elezione del Presidente della Repubblica è una terrificante iattura per un parlamento anche perché spesso e volentieri in quel voto segreto s’incrociano appetiti e si consumano vendette: il capo di stato non ha un peso centrale nel nostro ordinamento (tranne quando, come due anni fa, il governo è assente o in profonda crisi) solo che la valenza simbolica e politica di quella nomina è tale che spesso e volentieri intorno ad essa si sono verificati veri e propri drammi, come quello che nel 2013 portò alle dimissioni di Bersani da segretario del PD.

L’attuale segretario del PD, Renzi, aveva promesso che con queste elezioni avrebbe “vendicato” quella giornata infame, quando il PD non solo non riuscì a far eleggere a maggioranza qualificata il candidato concordato con il Popolo della Libertà ma non fu in grado neppure d’eleggere Prodi, fondatore del PD stesso, a maggioranza semplice. In quell’occasione un cospicuo numero di franchi tiratori fece mancare il proprio sostegno azzoppando “il professore” per “mandare un segnale” a Bersani. L’onta per tale disfatta fu tale che Bersani si dimise facendo decadere tutta la segreteria, un durissimo colpo al Partito Democratico.

Ieri in aula c’erano gli stessi grandi elettori d’allora e tanti pensavano che quei franchi tiratori (i “101”) sarebbero tornati a farsi sentire, colpendo un segretario che, almeno fino alla settimana scorsa, era molto meno amato di Bersani.

Le cose non sono andate così ma, per come s’erano messe le cose tanti non c’avrebbero scommesso un soldo bucato e se oggi siamo qui a festeggiare per l’elezione di Mattarella è perché Renzi s’è dimostrato, nei fatti, molto lontano da quell’ebetino di Firenze che tanti s’immaginavano.

 

Il problema serio di quest’elezione era legato ad un uomo, quel Silvio Berlusconi che non ha mai avuto granché in simpatia Mattarella: il nuovo Presidente della Repubblica infatti s’è trovato almeno un paio di volte sulla strada del presidente del Milan e se pure ambedue le volte ne è uscito sconfitto è certo che questa sua opposizione non l’ha certo reso simpatico agli occhi dell’ex cavaliere.

La prima volta è stata con la famosa legge Mammì quando Mattarella (insieme ad altri quattro ministri) si dimise dal governo in segno di protesta per la legge sull’emittenza radiotelevisiva che favoriva immensamente l’attuale leader di Forza Italia, la seconda è stata quando ha cercato d’ostacolare in ogni modo l’ingresso di Forza Italia nel Partito Popolare Europeo.

Non che Berlusconi sia un uomo rancoroso, sappiamo per certo che non era pregiudizialmente contrario al nuovo Presidente della Repubblica, semplicemente non era il suo preferito ed intorno al nome (quale che fosse) s’è svolto un balletto che serviva a stabilire chi fosse il più “forte” fra Renzi e Berlusconi. In poche parole Berlusconi, sentendosi forte degli accordi già stretti con Renzi, pensava di poter pilotare l’elezione del PdR verso un nome a lui gradito (verosimilmente Amato)… non perché volesse Amato o perché gli stesse antipatico Mattarella, semplicemente per dimostrare (ai membri del suo partito ed in generale alla nazione) che era ancora lui a comandare.

Sull’altro versante c’era, immensamente debole in quest’occasione, Renzi. Renzi s’è trovato a dover mettere d’accordo tutti, i suoi alleati di governo (che sono a loro volta legati a Berlusconi), l’opposizione interna al suo partito e quanta più gente possibile. Ha giocato molto pericolosamente perché il suo partito è arrivato a quel voto praticamente spaccato, con le correnti minoritarie decise a strappare per tante questioni che non starò qui a ripetere ed i soliti avvoltoi che buttavano sale sulle ferite pregustando la disfatta di Renzi che, si pensava, sarebbe stato costretto a sacrificare l’unità del PD o due anni d’azione politica, e probabilmente entrambi.

In questo caso l’unica scelta che gli era rimasta era se andare dietro a Berlusconi o “strappare” e rischiare, giocandosi tutto, d’accodarsi a Bersani fra i segretari con un brillante futuro alle spalle.

Qui, nonostante si possano avere mille riserve sulla persona, Renzi ha scelto bene e la sua spregiudicatezza l’ha premiato. Sia chiaro, alla fine non ha fatto altro che infischiarsene delle indicazioni di Berlusconi e tirare avanti un nome fra quelli graditi in seno al PD (uno di quelli che sarebbe potuto essere Presidente della Repubblica già nel 2013) ma è stato il procedimento, il pressing ed anche il modo di tirare avanti le cose ad avergli permesso di spuntarla, ed in modo così netto.

Berlusconi s’è trovato davanti ad un “no” ed ha accusato il colpo; era così certo che Renzi gliel’avrebbe data vinta che gli ha concesso di far passare la legge elettorale al Senato prima dell’elezione (col risultato che al momento Forza Italia non ha nulla per vendicarsi dello smacco) e questo non ha fatto che rendere ancora più plateale la disfatta. Certo l’ex cavaliere è una persona combattiva ed infatti all’inizio ha tentato di non darla vinta al segretario del PD minacciando di disertare il voto ma alla fine, complice la tela intessuta da una fitta rete d’incontri, telefonate e “moral suasion” da parte dell’entourage del PD è stato costretto a mandar giù l’amaro boccone e vedere i suoi in aula che assistono inermi all’elezione di un uomo che lui non voleva.

In tutto questo un ruolo non secondario l’hanno avuto gli altri partiti del parlamento, in particolare Sinistra Ecologia e Libertà che s’è subito schierata a favore di Mattarella fornendo, se non la certezza della vittoria, almeno un cospicuo supporto che ha reso credibile la candidatura. A ruota anche gli uomini della defunta Scelta Civica, anche se era abbastanza scontato che questi fossero d’accordo viste le origini e gli orientamenti politici dell’uomo scelto.

Più complicata la situazione nel Nuovo Centro-Destra dove Alfano s’è trovato in una situazione terribile: da un lato c’era Renzi che l’ha costretto a presentarsi in aula (lui ed indirettamente il suo partito) o uscire dall’esecutivo (a questo è servito quel tam-tam sul fatto che mai un ministro degli interni del governo in carica ha disertato l’elezione del Presidente della Repubblica) e dall’altro c’era Berlusconi che lo voleva fuori dall’aula per evitare che qualcuno, fra i suoi, nel segreto dell’urna votasse Mattarella.

E qui ci va una piccola spiegazione: Mattarella è un ex-DC cattolico che piace molto al centro e per forza di cose il nome era gradito agli uomini di NCD (ed a molti di quelli “di lungo corso” in Forza Italia) ma a sostenerne apertamente la candidatura erano solo PD, SEL ed i vari centristi: alla conta i numeri erano troppo risicati per assicurarne la vittoria. Per questo Berlusconi, nel tentativo di vendicarsi di Renzi, voleva che tanto Forza Italia quanto il Nuovo Centro-Destra disertassero il voto: senza l’apporto dei “franchi tiratori alla rovescia” era probabile che Mattarella non raggiungesse i 505 voti necessari per l’elezione.

I retroscena vogliono che Alfano fosse vicino al disertare l’aula ma c’abbia ripensato quando s’è reso conto che con Berlusconi ancora ai servizi sociali sarebbe stato lui il candidato del centrodestra al governo, e che ci sarebbe arrivato dopo aver fatto crollare quasi due anni di lavoro e di riforme ancora in lavorazione: insomma se avesse disertato l’aula probabilmente avrebbe finito per pentirsene… e così ha deciso di fare l’unica cosa sensata, ha avversato non Mattarella (impossibile farlo) ma il “metodo” in cui è stato scelto (qualsiasi cosa voglia dire) ed ha finto d’essersi “riappacificato” dopo che Renzi, capendo la situazione, ha fatto un comunicato in cui “spiegava” la scelta del nome. Politichese puro.

Alla fine Berlusconi è stato quindi costretto a presentarsi in aula in quanto l’assenza di Forza Italia da sola non avrebbe fatto differenza ed il messaggio sarebbe stato anche peggiore: una cosa è perdere ed un’altra è perdere mostrando la propria debolezza. Alla fine dei giochi l’ex cavaliere manderà i suoi in aula a votare scheda bianca (ed alla conta pare che molti se ne siano allegramente fregati ed abbiano comunque votato Mattarella).

Ovviamente contrari al nuovo Presidente della Repubblica sono stati i grandi elettori della Lega nord e di Fratelli d’Italia ma di quelli si conosce lo stampo ed era già pianificato che il loro voto sarebbe stato bruciato per una questione di principio… e che fosse solo una questione di principio lo si vede dal candidato di bandiera che hanno votato ad oltranza, un Vittorio Feltri che davanti alla sua candidatura (a sua insaputa!) non ha potuto che commentare “qui non stiamo raschiando il fondo del barile: non c’è proprio il barile”.

Nota di colore sul Movimento 5 Stelle che meriterà una trattazione ad hoc per i bizantinismi e le gincane messe in atto per ostacolare il PD, una serie di coreografie che alla fine sono servite solo a dimostrare l’inutilità di questo convitato di pietra alle elezioni: i grillini entrano, votano qualcosa (qualsiasi cosa, non importa) e vanno via nel disinteresse generale… per questo vi rimando ad un successivo articolo apposito per spiegare tanto masochismo.

 

Alla fine l’unico ad averci perso è il mitologico “patto del Nazareno” che tutti immaginavano come una sorta d’Enciclopedia Britannica comprendente ogni sorta d’accordi ed intendimenti su ogni ambito della scena politica: commentatori e politologi erano così inebriati da questo patto che hanno letto l’intera elezione partendo dall’assunto che Berlusconi e Renzi avrebbero dovuto trovare un accordo, e che alla fine Renzi (che si presentava con già ai ferri corti con parte del suo stesso partito) avrebbe calato la testa alle richieste di Berlusconi.

Nulla di tutto ciò, oggi possiamo prendere i giornali di una settimana fa e ridere a crepapelle, il patto del nazareno non riguardava l’elezione del Presidente della Repubblica e di sicuro oggi Berlusconi non ha più la forza per sottrarsi ad esso: Forza Italia è stata umiliata e l’unica cosa che la distingue dalla Lega Nord (che la sovrasta nei sondaggi) e dall’NCD è appunto quell’accordo sulle riforme, un’ancora di salvezza a cui Berlusconi dovrà aggrapparsi disperatamente per evitare di scivolare nell’oblio.

Certo oggi Berlusconi è arrabbiato ed in futuro ci penserà mille volte prima di prendere sottogamba “Matteo” ma alla fine tutto continuerà come al solito, con il PD che finalmente ha trovato un minimo di coesione (e ci vorrà un po’prima che si tornino a palesare le lotte interne) e le opposizioni consce del fatto che Renzi, ben lungi dall’essere la macchietta comica di Crozza, è un politico di razza… magari non uno statista (questo lo vedremo solo sul lungo termine) ma uno che è stato in grado di mettersi nel taschino un interno parlamento e farla sembrare la cosa più naturale del mondo.

 

Ed ora avanti, che tocca a riforma costituzionale e legge elettorale.

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