Helter Skelter

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Oggi è un sabato qualsiasi di fine settembre (più fine di così, è il 30, diranno i pignoli come me…) e son d’accordo con la mia ex domatrice di vederci e magnar qualcosa insieme a pranzo. Si abita praticamente alle parti opposte di Milano, ora: io a nord est e lei a sud ovest.

Stamattina ci si sente: “sì, io alle xxx vado dal parrucchiere, ah ma anche io ho pensato di ripulir la faccia e i capelli, che mezzi prendi?, mah pensavo la rossa e poi il 3, no è meglio la verde sino Abbiategrasso ti vengo a prendere io però aspetta sentiamoci, giusto aspetta ti richiamo”

Doccia.

Barba.

Telefonata.

“Ciao, allora? Rimaniamo d’accordo così? Ma sì, ora si sta portando fuori il nostro figlioletto Ciro e mi sa che non vede l’ora di rivederti, (abbaia come un forsennato appena capisce che ci si sta chiamando, è ovviamente posseduto dal demonio)”

Linea rossa poi tram 3, deciso. Prima una puntatina a Pasteur attraverso il Trotter, si preleva, quattro passi in viale Monza.

La linea uno (rossa) è la più prevedibile, è l’unica con l’apertura delle porte solo a destra, comprendo che per i ciechi e gli stranieri gli altoparlanti ripetono a ogni stazione, oltre a “connessione con la linea 2… connessione con le linee suburbane S XYZ ecc.” anche in inglese. Va bene, ma è in effetti ridondante. Seppure con buona pronuncia, italiana e anglosassone.

Cordusio, e via Cantù. E’ il capolinea del 3. Che fortuna, è lì pronto. Dopo essermi seduto, aspettando che parta e arrivi più o meno al capolinea opposto meno due o tre fermate, telefonate e lettura di due o tre giornali online. Sale un gruppo di ragazzetti, ostentatamente uno sputa per terra, un altro si accende una sigaretta e fuma indisturbato e sempre ostentando il suo agito. Sono in 4 o 5, tutti insieme faranno al massimo un secolo.

Arrivato alla fermata giusta, sulla panchina sotto alla pensilina c’è la mia ex domatrice coi capelli apposto, che sta terminando la pagina 44 de la Settimana Enigmistica, quella delle parole crociate senza schema.

Saluti, smancerie, baci, abbracci, caramelle, cioccolato, “vieni, ti faccio veder casa”, Ciro a momenti gli piglia uno sciopòne tanto è contento, scatoloni dappertutto, e la cucina nuova arriverà, sarà di color verde, guarda, facciamoci un aperitivo con questo bianco fermo, bellissimo terrazzo, un sacco di alberi ci guardano.

Andiamo a riempir lo stomaco, poi si fa un giro.

Pizzeria/ristorante a 100 metri, gestori un magrebino e un italiano che al massimo avrà un solo dente in bocca.

Si parla di tutto e si mangia bene, pizza ai funghi e orata al cartoccio (richiesta, “normalmente si fa alla sera”) e insalata mista innaffiati con acqua frizzante e vino altrettanto, servito in deliziosi fiaschetti della casa. “Ne avete uno da vendermi?” “Chiedo” Arriva “il fornitore viene di martedì, ora non ne ho, ti va bene come ricordo questo (BEL ndr) boccale di birra per ora? Certo, la mia era solo una domanda, ci mancherebbe”

Caffè. Avete un limoncello? Se no, un paio di grappini. Guardo. Dopo 5 minuti: abbiamo solo dello stravecchio. E vada per lo sturalavandini color marrone, dato che non c’è scelta.

Passeggiata tra gli alberi, vai di fontane e verde e una sigaretta (la seconda della giornata) per me.

Si parla, si parla, si parla di tutto, e pure del telefono mio che ha la fotocamera che tremola.

Saluti, baci, abbracci eccetera di nuovo come sopra, vado a riprendere il tram.

Torno nella mia zona, vado in un “riparazione cellularE” per il problema alla fotocamera, risposta, dopo una 30ina di secondi in perfetto italiano “ti conviene andare dove lo hai comprato, sicuramente è in garanzia [è un p10] è l’obiettivo che vibra.

Torno in zona Moscova (dove acquistai il telefono) e riesco a parlare/interloquire con Mina, la persona che mi ha fatto il contratto.

“E questo, e questo, e quest’altro” “Facciamo il bekàp, hai una chiavetta, magari si deve pigliare appuntamento, ti si darà un cd. ‘muletto'”

1 ora e 1/2, finalmente ho un telefono sostitutivo, uguale (p7) ironia della sorte, a quello che avevo abbandonato.

Sono circa le 6 1/2 di sera, torniamo verso casa, soavizziàmoci –  come uso dire.

[EDIT: passo davanti a un gruppo di magrebini che fumano, uno di loro “perché mi hai guardato” mi offre una canna “no, non ne ho voglia” “e va bene, contento?”]

Aperitivo al chioschetto del Trotter. Un negroni e non se ne parla più, leggendo Internazionale, aggiornando il telefono, e facendo 4 chiacchiere con una biondissima barista (carina, a dire il vero) russa.

Finalmente a casa.

Oggi, I ottobre, ho appena terminato di pranzare. Cucina dello Sichuan.

 

 

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