Germania 1

Anno uno

Un paese completamente demolito, dal punto fisico, psicologico, logistico, sociale, strutturale, politico, economico, cui l’unica cosa rimasta, fu solamente la consapevolezza di popolo. Quasi sei milioni di morti, milioni di rifugiati, le città industriali distrutte dai bombardamenti per almeno la metà, Berlino capitale compresa. Economia e struttura politico-amministrativa (se pur nazista) annullate. Una nazione in mano a vincitori sufficientemente litigiosi fra loro. Uno Stato cui fu tolto un quarto del territorio, la capitale e intriso i suoi abitanti di un senso di colpa come mai nella storia un popolo moderno ha subito, neppure i serbo-bosniaci nei recenti orrori balcanici, né gli Hutu dopo il genocidio ruandese.

Nel 1945 la Germania aveva cessato di essere una nazione. Con il suo grande realismo, Roberto Rossellini l’ha descritto in tempi “sospetti” in uno dei suoi capolavori: “Germania anno zero”. Questa è la premessa, ma è quello della Germania degli anni successivi il tema, quella di Adenauer, di Erhard, di Brandt, di Schmidt, quella degli anni ‘50’ ’60, ’70,. Quando la Dolce Vita, successivamente accompagnata da un debito pubblico smisurato, si impadroniva dell’Italia, cosa facevano i tedeschi? Un paese che in pochi decenni è passato da piccola autorità distrutta e dominata sotto custodia, a una delle potenze economiche più importanti al mondo. Forse può far capire quanto determinate differenze attuali arrivino da lontano, molto lontano.

 

La Germania dopo l'occupazione

 

Con la capitolazione dell’8 maggio 1945 la Germania scomparve dalle carte geo-politiche come Stato, mentre gli alleati riempirono il vuoto con la precedente intesa del 14 novembre 1944 sul regime di occupazione, completato dall’accordo di Yalta per creare anche una zona francese. Perse a sud e a ovest i territori annessi con l’Anschluss e a est, nonostante le criticità occidentali, soprattutto inglesi, sulle intese russo-polacche, anche quelli oltre l’Oder-Neisse (la Pomerania e la Prussia) che furono affidati al governo polacco. Alla fine perse circa 114.000 km2 (un terzo dell’Italia) pari a nove milioni dei suoi abitanti che uniti ai sette milioni di tedeschi residenti in Europa centrale costretti a lasciare Cecoslovacchia, Ungheria e Yugoslavia produssero un gigantesco trasferimento di profughi. Si stima che gli spostamenti abbiano interessato tredici milioni di persone e il paese assunse l’aspetto di un enorme campo profughi con inimmaginabili problemi di rifornimento logistico, alimentare e naturalmente disoccupazione.

Gli Alleati avevano il diritto di smantellare tutte le produzioni militari, oltre che tutti gli impianti di produzioni anche se consentiti, che furono smontate, prelevate e trasferite a titolo di riparazione. Inoltre furono sciolti cartelli e monopoli per eliminare le concentrazioni industriali. Ma cancellare il nazismo fu una delle loro priorità per riformare lo stato tedesco passando dalle scuole, ma anche dalla punizione degli ex-fanatici e alla Germania occupata, colpevolizzata, sorvegliata, privata del suo potenziale economico, spogliata di quello militare, ogni progetto fu precluso per l’immediato futuro.

La preoccupazione imminente dei tedeschi nell’immediato dopoguerra fu solo quello di sopravvivere, mangiare, avere un tetto, trovare i parenti e avere un lavoro, assieme alle ricostruzioni delle città: Amburgo fu distrutta per il 52%, Essen e Dormund al 55%, senza contare la capitale Berlino che fu accerchiata e bombardata per una settimana di seguito, notte e giorno, da 15.000 cannoni russi. Il bilancio demografico alla fine della guerra contava 1.650.000 soldati morti, 1.600.000 dispersi di cui i tre quarti deceduti. 500.000 civili morti e 1.500.000 dispersi nei territori orientali ceduti. In totale morirono 5,5 milioni di tedeschi e altri due milioni rimasero invalidi.
 

 
La denazificazione divenne sempre più terreno di scontro, poiché ogni comandante in capo operò seguendo le direttive del paese d’origine, con divergenze spesso incolmabili per la democratizzazione e la ripresa economica che si fecero sempre più profonde con l’avvento della guerra fredda. Lo scopo della denazificazione, che si accompagnò a una messa sotto accusa collettiva, si prefiggeva di punire e allo stesso tempo rieducare i tedeschi, i quali dovevano essere informati degli orrori perpetuati dai nazisti. Dopodiché poteva iniziare una fase di ricostruzione democratica per evitare un futuro pericolo tedesco. Ma come misurare il grado di colpevolezza dei singoli se la punizione era fondata sulla responsabilità collettiva?

Americani, inglesi e francesi istituirono sei milioni di pratiche di denazificazione, più o meno severe in funzione dei diversi paesi, che inizialmente fu molto rigorosa da francesi e americani, differentemente dagli inglesi che ritenevano di eliminare i più compromessi e rieducare gli altri. Alla fine del 1946, 178.000 persone furono arrestate e internate, mentre dalla parte russa altri 75.000 individui furono imprigionati. Ben presto, però, in ogni zona si cominciò a differenziare i soggetti “economicamente” preziosi e le necessità amministrative imposero indulgenza verso i nazisti con minore responsabilità. I maggiori responsabili, uomini e gruppi, furono processati a Norimberga fra il novembre 1945 e l’ottobre 1946. Göring si tolse la vita, altri furono impiccati e buona parte fuggì. Complessivamente, anche se abbastanza discutibile e in parte ingiusta, la denazificazione ottenne dei risultati incoraggianti.

 

 

Gli Alleati cercarono velocemente di ricreare una struttura politica su basi democratiche e già nel 1945 diedero origine ai Länder indicendo elezioni municipali mentre nel 1947 li munirono dello strumento referendario per la creazione di governi locali. Nelle zone occidentali i Länder cominciarono subito ad affermare la loro autonomia rispetto all’amministrazione militare che incoraggiava la nascita del multipartitismo. Al contrario a est i comunisti s’impadronirono progressivamente del potere.

L’SPD, dopo le persecuzioni naziste, rinacque immediatamente, ma sia Kurt Schumacher che Erich Ollenhauser si opposero alla fusione con i comunisti, mentre dall’altro lato SPD e comunisti crearono il Partito Socialista Unificato (SED). Sempre a ovest si formò un partito cristiano democratico (CDU) che dal 1946 si dimostrò molto attivo nella zona inglese sotto l’impulso di Konrad Adenauer, mentre nella zona americana s’impose una corrente più conservatrice (CSU). Con la direzione di Adenauer la CDU adottò una politica economica liberale, interconfessionale, riformista e favorevole ad uno stato federale raggiungendo il 37,6% nelle elezioni dei Ländtage del 1947. L’FDP, il partito liberale, appoggiato dalla grande industria, restò ancora esiguo a ovest, mentre nella zona sovietica nel 1946 il partito comunista finì per imporsi.

Il 1945 e il 1946 furono gli anni del tracollo e della paralisi delle infrastrutture stradali, ferroviarie e fluviali. Nonostante ciò la Germania cominciò a riemergere dal caos, il rilancio economico poteva contare sulla sua popolazione, sulla sua potenza industriale (o almeno di ciò che era rimasto) e sugli occidentali che si giocarono la Germania nella guerra fredda. Nel piano industriale del 1946 le furono proibite diverse attività produttive come cantieristica, costruzioni aeronautiche, trattori, macchine utensili, alluminio, benzina, gomma sintetica, materiale radio ecc). Per gli altri settori furono messi dei vincoli sulla base della produzione del 1938, l’eccesso doveva andare a pagamento delle riparazioni, con lo smontaggio e la consegna agli Alleati degli impianti. E mentre i francesi e i russi volevano far pagare caro alla Germania i suoi crimini, a cominciare con l’applicazione rigida degli accordi sullo smantellamento degli impianti produttivi a scopo di risarcimento, gli anglo-americani attuarono una politica meno rigorosa interrompendo le requisizioni con l’intento di rilanciare l’industria tedesca. I Sovietici, al contrario, nella loro zona, fino al 1948 smontarono 1372 impianti riducendo più del 50% il potenziale produttivo dell’est.

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