Friuli 6 maggio 1976

Non voglio raccontare la storia del terremoto del 6 maggio 1976, sarebbe troppo ambizioso, ma solo la mia piccola storia, che è nulla di fronte a chi a ha perso familiari ed amici. Dopotutto stavo a Udine, che all’epoca ha avuto solo piccole lesioni e qualche morto d’infarto. Eppure voglio raccontare questa storia anche perché, a distanza di 40 anni, vorrei sapere chi quella notte mi ha salvato la vita e perché ad ogni evento sismico mi tornano alla memoria le mie esperienze.

 

 

Premetto che non ero uno studente modello, fui bocciato per due anni di seguito, per le mie ideologie e per le mie appartenenze politiche che consideravano la scuola ciò che non era. Era la linea di Lotta Continua. Alla fine i miei mi diedero l’alternativa del diploma in scuola privata, ma dato che non provenivo da famiglia ricca, durante il giorno lavoravo e la sera ero a scuola. E fu proprio lì, il 6 maggio 1976, verso le nove di sera, durante la lezione, che arrivò l’Orcolat, come lo chiamano qui. Fu forte anche a Udine (riempì le strade di ruderi e calcinacci) e scendemmo le scale fino in strada in pochi secondi, anche se la strada stretta del centro storico non ci avrebbe dato protezione.

 

Dopo pochi minuti vidi arrivare mia madre che scavalcando tutti gli ostacoli, arrivò fino alla scuola con la 500 grigio topo sulla quale avevo precedentemente montato l’antenna e l’apparecchiatura CB tramite la quale cercai subito un collegamento per capire cosa era successo. Dalle risposte ricevute ci rendemmo subito conto del disastro e ci demmo appuntamento al piazzale delle ambulanze dell’ospedale. Non c’erano collegamenti elettrici, telefonici, o di altro genere e capimmo subito, sia noi che i soccorsi, l’importanza che poteva avere la nostra rete CB.

 

 

La stessa sera partii per Gemona. Ricordo ancora la velocità con cui arrivarono ambulanze e aiuti da Venezia. C’erano i vigili urbani di Udine, naturalmente i vigili del fuoco, ma l’area era talmente vasta che dopo essersi visti sulla statale ci si perdeva. Arrivai a Ospedaletto (frazione di Gemona) nel buio più completo. Era buio pesto, illuminato solo dalle torce. Alla luce delle stelle si intravedeva solo il margine dei cumuli di macerie o di qualche muro rimasto in piedi. Lamenti ovattati che arrivavano come dall’oltretomba. Ci mettemmo a scavare, ovvero a togliere sassi facendo una catena umana, dove si sentiva un lamento.

 

 

Non esisteva la protezione civile, non c’erano le unità cinofile, era tutto determinato dall’istinto. Mentre ci coordinavamo, all’una, o una e trenta, non ricordo, ci fu la seconda scossa. La chiamavano la scossa di “ritorno”, l’assestamento, e fu molto forte. Mentre tutto tremava mi diressi in una direzione e fui strattonato da qualcuno, di cui ricordo solo la divisa militare, che mi portò in direzione opposta. Nella direzione dove stavo andando crollò un muro, che mi avrebbe sepolto. Non so chi fu che quella notte mi salvò la vita, ma a distanza di 40 anni gli sono estremamente grato. Finita la scossa continuammo con il nostro lavoro ed estraemmo un anziano dalle macerie.

 

Nel frattempo le istituzioni si resero conto dell’aiuto che poteva dare la nostra rete CB in una tragedia simile in quegli anni. Il problema era che Il CB direttamente non arriva molto lontano, quindi fu deciso di organizzare dei ponti radio in cima alle montagne, fui richiamato e diretto sulla cima del monte Bernadia (da cui visivamente si vedeva quasi tutta la Regione) per un ponte radio. Tre giorni dopo, il 9 maggio arrivò l’esercito. Una colonna militare che andava da Udine a Tricesimo (10 km) ferma sulla statale in attesa di ordini.

 

 

Prima di partire una infermiera in mezzo al piazzale mi chiese se avevo fatto l’antitifica. Alla mia risposta negativa mi ordinò, in mezzo al piazzale, di abbassare pantaloni e mutande e zac, feci l’antitifica.

 

Monte Bernadia

Monte Bernadia

 

Mi trovai da solo in cima ad un monte a trasmettere le richieste delle varie zone terremotate provenienti dai vari paesi, alla base di Udine. Coperte, acqua, pane, letti, tende, pasta e… preservativi. Arrivò anche questa richiesta che fu trasmessa alla croce rossa e che fu tranquillamente evasa. Ci passai due giorni in cima al Bernadia, poi esausto chiesi un ricambio. Non dormivo da tre giorni e quando arrivai al piazzale autoambulanze mi addormentai subito nella macchina di un amico.

 

Non so quanti abbiano praticato l’esperienza di non dormire per tre giorni consecutivi e nutrirsi solo di caffè, ma quando mi svegliarono, poche ore dopo che dormivo, perché c’era un’emergenza, diedi di matto, il che fa capire come agisce la mente umana sottoposta a stress. Tutto ciò che racconto mi è stato riportato da altri: quando mi svegliarono cominciai a dare di matto, tre militari mi rincorsero nel piazzale ed ebbero problemi a bloccarmi, arrivò un medico che con un sedativo mi bloccò e fui trasportato nel vicino ospedale. Di tutto ciò non ricordo nulla.

 

 

Dopo una buona dormita, il giorno successivo mi sentivo in forma.  C’era un varco fra l’ospedale e il piazzale ambulanze. Mi presentai a tutti gli effetti in pigiama con una scatola di biscotti in mano, che al primo momento convinse tutti che ero ormai “andato” completamente. A parte questi ironici episodi, ripresi, in modo più graduale, i ponti radio. Scavare morti non faceva per me, ma potevo rendermi utile in tanti altri modi. E i ponti radio sul Bernadia e a Muris di Ragogna (nella parte pordenonese) mi hanno fatto partecipe delle esigenze e con queste, dell’entità della calamità. E fu questo tutto il mio mese di maggio del 1976, e sarei andato oltre perché ce n’era l’esigenza, finché mi resi conto che avevo un esame di maturità da sostenere.

 

Dopo la maturità, l’ho già scritto, mi vennero a cercare a casa, tanto era l’esigenza di tecnici. Le date che ricordo sono il giorno di ferragosto del 1976 quando facevamo rilievi per l’installazione dei prefabbricati di Tarcento. Il 15 settembre 1976 alle 11 di mattina una scossa di grado 6 ci prese in macchina in centro a Tarcento. Ricordo che attorno a noi cadevano calcinacci e tegole e che temevo di fare la fine del topo.

 

 

Dopo quel giorno, in cui la scossa fu molto forte e fece crollare ciò che era rimasto in piedi, i friulani si arresero. Nei giorni seguenti una lunga fila di mezzi partì dalle zone terremotate per le località balneari. Udine compresa, tanto che mi ritrovai solo a casa. In quel periodo arrivarono gli alpini che parteciparono alla ricostruzione, non si sa in che modo e quanto furono efficaci, oltre la propaganda. Lo dirà il prossimo terremoto.

 

Il terremoto fu un accentratore di tecnici e imprenditori, tanto da lasciare abbandonate tutte le altre aree regionali, per questo, dopo questa esperienza trovai impiego presso qualcuno che agiva in aree diverse, come la bassa friulana e dove si lavorava in modo normale e non emergenziale con il quale ho concluso la mia carriera in Italia.

 

Senza dubbio la ricostruzione del Friuli è stata un successo. Con la stessa legge del terremoto (Legge 30) a 40 anni di distanza, vengono attualmente ristrutturati i castelli, ed è bello vederli. Ma come ho scritto all’inizio, la precedenza fu data al lavoro e alle fabbriche.

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