Femminismo e dintorni

Sulla scia degli articoli di Capretta Amaltea e Antonella Baroni, aggiungo il mio piccolo e personalissimo contributo sul tema “femminismo e dintorni”.

Quello di cui vorrei parlare io magari è qualcosa di più terra terra e banale, in effetti è solo un esempio, un esempio del perché il femminismo è un movimento culturale che (secondo me) è in profondo declino. Sto parlando del “fenomeno” (prima letterario e poi cinematografico) di 50 sfumature di Grigio. O meglio, del suo successo tutto femminile (“il libro che tuttE leggono”, recitava la reclame).

Ma partiamo più da lontano.

Come chiunque probabilmente sa benissimo, il gentil sesso si ritrova spesso al centro di un fuoco di sbarramento che vede due fronti diametralmente contrapposti:

Da un lato ci sta una società che, nonostante tutti i progressi fatti, ancora fatica a riconoscere a una donna gli stessi meriti che riconoscerebbe ad un uomo, e a trattarli come esseri equivalenti. Esempi di questo gap sono quasi all’ordine del giorno, dal clamore che suscitano i provvedimenti con “quote rosa” (che dal mio punto di vista sono una specie di aborto giuridico, ma se se ne sente la necessità c’è evidentemente un motivo), alle violenze di genere (perchè sì, sicuramente anche le donne infastidiscono e stalkerano i loro ex, ma generalmente in misura inferiore, o comunque sono meno violente), dalla penalizzazione in ambito lavorativo (sia in fase di assunzione che in fase di avanzamento di carriera) fino ai più beceri luoghi comuni che sentiamo quasi ogni giorno, chi nel proprio ambito.

Dall’altro lato, abbiamo ciò che dovrebbe “difendere” le donne e agire contro questo status quo: il femminismo. Peccato che il movimento femminista spesso finisca per combattere contro le stesse donne che dovrebbe invece proteggere, da una parte scendendo nel ridicolo e nella critica pretestuosa, scegliendo battaglie a tratti imbarazzanti, dall’altra condannando le stesse donne che non rientrano nello stereotipo di “donna femminista”, perché ad esempio hanno preferito (per loro libera scelta) fare le casalinghe o dedicarsi alla famiglia. Non sto parlando ovviamente di tutto il movimento femminista o di tutte le femministe, ma della parte più radicalizzata di loro (nazifemministe) che però è arrivata a farla da padrone in termini di media e visibilità.

E qui arriviamo a 50 Sfumature di Grigio. Vorrei precisare che quelli in questo articolo sono i miei pareri personali, non intendo in nessun modo offendere coloro ai quali il libro/film è piaciuto, la mia critica si riferisce principalmente alla relazione tra i due protagonisti per come io l’ho vista dipinta su quelle pagine.

Il successo di tale “opera” (in particolare all’interno del mondo femminile) secondo me riflette più di ogni altra il fallimento di un movimento culturale (che sarebbe più che mai necessario e “in spolvero” anche adesso) che doveva dare il “lancio” a metà della popolazione mondiale, costretta fino relativamente poco tempo fa in una condizione di inferiorità che in molti paesi del mondo perdura ancora oggi.
E invece cosa ci ritroviamo?
La protagonista, Anastasia (da qui in poi solo Ana), è dal mio punto di vista l’antitesi di un secolo di rivendicazioni culturali: è una ragazzina patologicamente insicura (nonostante non abbia particolari difetti, semplicemente “non è abbastanza bella”, stereotipo #1), che legge solo libri romantici (stereotipo #2), svenevole e goffa (stereotipo #3), senza uno straccio di vita sessuale (ha 21 anni, è vergine ed è stata baciata solo due volte in vita sua, stereotipo #4). Intraprende una relazione sentimentale sadomaso con Christian Grey, un uomo d’affari più grande di lei, che è un maniaco del controllo: un vero e proprio malato che la pedina, le impedisce di andare da sua madre, interferisce con il suo lavoro, interferisce con le sue amicizie (per meglio dire, le impedisce di averne), interferisce con le sue proprietà (le sceglie i vestiti che deve mettersi, le sostituisce la macchina), interferisce persino con il suo regime alimentare. In sostanza le impedisce di fare qualsiasi scelta riguardo alla sua vita (forza addirittura la scelta sull’intraprendere o meno la relazione, sulla base del “o così o si vede che non mi vuoi abbastanza bene”), anche la più banale.

Comportamenti che farebbero scappare a gambe levate qualsiasi donna dotata di un minimo di cervello e di amor proprio, ma non Ana. No, lei soffre tremendamente tutto questo, ma resiste stoicamente perchè lui ha tanti problemi, è un cucciolo smarrito, ma lei lo salverà e lui cambierà. In effetti è questa la cosa peggiore, perchè alcuni di quei comportamenti in una relazione BDSM (per quanto particolarmente estrema, perché nella maggioranza dei casi i ruoli schiavo/padrone si assumono solo in camera da letto mentre qui è 24/7) sarebbero anche comprensibili, ma Ana non è mai veramente consenziente, non prova mai piacere nel subire le angherie di Mr Grey, sempre solo ansia, paura, sofferenza, tristezza. Rimpiange continuamente che non sono una coppia normale, infatti sta insieme a lui per cambiarlo (cosa che peraltro di per sé sarebbe già scorretta). Quando lui si arrabbia con lei, quando l’aggredisce (fisicamente o verbalmente) si colpevolizza sempre per non averlo capito, per aver “trasgredito” le regole, o comunque lo giustifica per il suo passato tormentato. Arriva a sentirsi lusingata delle sue attenzioni, della sua gelosia morbosa, del suo stalkeraggio. Annulla completamente i suoi desideri e le sue aspirazioni, li sacrifica sull’altare del vero AMMMORE che resiste a tutte e avversità (ma a fare i sacrifici deve essere solo lei).

Ma no. Ma no, cribbio.
Il fatto che questa cosa abbia avuto un simile successo planetario, soprattutto fra le donne, a me dà la misura di quanto il tiro della cultura femminista abbia mancato il bersaglio negli ultimi decenni. Combattere una cultura tradizionale tendenzialmente maschilista non “educando” le nuove generazioni di donne a combattere per la propria indipendenza e a fare scelte consapevoli (insomma, a sentirsi esse stesse, in primo luogo, pari agli uomini), ma copiando le esasperazioni, gli stereotipi e le superficialità del maschilismo al negativo. È la filosofia del “cambiamo il genere dei nomi, non è gggiusto” (grazie presidentA Boldrini, ne sentivamo il bisogno), del “lui va con tutte ed è un grande, lei va con tutti ed è una poco di buono, non è gggggiusto” (no, non è giusto, ma non è giusto perché è un comportamento scorretto per entrambi).

Credo che le donne, se davvero vogliono abbattere le ultime ingiustizie che le vedono penalizzate a causa del proprio sesso, debbano chiedersi innanzitutto come mai, nonostante tutte le lotte le conquiste, un personaggio aberrante come Mr Grey abbia questa popolarità e sia così desiderato dalla massa femminile. Sarà mica che qualcuno ha clamorosamente sbagliato priorità?

Io non lo so. Posso solo ringraziare chi, nella mia vita, mi ha insegnato che una relazione umana uomo/donna (non necessariamente romantica) non è una competizione dove c’è uno che vince e uno che perde, uno che salva e uno che deve essere salvato, uno che porta i pantaloni e uno che prepara i sandwich, ma una “società” dove persone sullo stesso piano portano avanti la loro relazione bilanciando diritti e doveri, pregi e difetti, uguaglianze e diversità, basandosi soprattutto su rispetto, fiducia e affetto.

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