Expo 2015: Le ragioni del fallimento di un progetto

Questo articolo è stato scritto da DGT. Mi scuso preventivamente per gli eventuali errori nella trascrizione: allo stato di pubblicazione mancano un paio di foto. @DGT segnalami qualunque correzione, e gli indirizzi delle foto mancanti (chicago, Roma Eur). PS mi son permesso di mettere una immagine di copertina scelta tra quelle che ho scattato in questi giorni

EXPO è stata inaugurata e l’esposizione ha ottenuto e continua a ricevere la doverosa copertura mediatica, sia nel merito delle manifestazioni ed eventi che, involontariamente, per le vicende legate alle proteste dei primi giorni, comprese le azioni dei consueti devastatori organizzati.

Tralasciando tuttavia l’attualità in senso stretto, così come le polemiche o le esaltazioni particolarmente interessate, pare d’obbligo una riflessione globale sull’esperienza di EXPO che, benché non ancora conclusasi, viene da lontano e dura ormai da diversi anni. L’analisi che segue riguarda dunque principalmente i meccanismi e il senso globale del progetto e parte dal presupposto che un giudizio su questo tipo di operazioni debba essere formato innanzitutto tenendo in considerazione un quadro ben più ampio rispetto al puro e semplice indice di affluenza del pubblico, quantunque importante per le fasi strettamente legate ai mesi di apertura. Di conseguenza l’accento è posto sugli aspetti strutturali e di sistema piuttosto che sulle singole vicende per cui durante gli anni EXPO è balzato, in maniera più o meno lusinghiera, all’onore delle cronache.

Gli aspetti economici

Partendo dall’aspetto che più di tutti ha suscitato polemiche durante i lavori, anche in questo caso si ha la necessità di andare oltre i dati indubbiamente preoccupanti riguardo al lievitare dei costi; si sente spesso parlare di indotto, biglietti e, in generale, di una esposizione che serve soprattutto come promozione e trampolino di lancio per i prodotti italiani e il comparto dell’alimentazione.

Per quanto riguarda i biglietti staccati risulta difficile fare stime, anche considerando che le comunicazioni a riguardo sono incomprensibilmente contraddittorie: si passa da un obiettivo di 10 milioni (dichiarato da Renzi in visita a marzo) a una punta di 24 milioni indicati da Giuseppe Sala (amministratore delegato) per permettere di considerare positivo l’investimento strettamente privato.

Di fatto questa non è che una piccola parte rispetto agli investimenti pubblici messi in campo per la manifestazione; le spese iniziali per la sola area erano valutate in 3,2 miliardi (dal rapporto di sostenibilità 2013) a cui vanno aggiunti i costi per le infrastrutture che, in realtà, sono il settore che ha subito maggiori ritardi e ridimensionamenti. Con cifre che si aggirano globalmente intorno ai 15 miliardi di euro la spesa appare difficilmente giustificabile come una scusa per far guadagnare commercianti e albergatori milanesi oppure, vista la transitorietà, per fornire supporto all’indotto dell’edilizia e dei fornitori; diverso il discorso riguardante il generale impatto sul PIL che, tuttavia, pare decisamente sovrastimato e non da garanzie di continuità oltre il periodo della manifestazione, soprattutto perchè le infrastrutture a complemento, vero nocciolo di uno sviluppo, tardano ad arrivare o sono state decurtate dai piani.

Vista del progetto per l’area EXPO

Vista del progetto per l’area EXPO

Le anomalie di sistema

Strettamente legato alla tematica dei costi, nonché secondo argomento su cui è stata posta maggiormente l’attenzione, è il processo decisionale e burocratico che ha definito e guidato i lavori, sia nell’area che all’esterno; inutile soffermarsi su quella che è sostanzialmente la cronaca giudiziaria e di malgoverno diffuso se non per rilevare come il Paese abbia dimostrato una scoraggiante incapacità di liberarsi dai mali consueti e ricorrenti associati ad ogni “grande opera”.

Dal lato più tecnico EXPO non è che la conferma di quanto l’impianto legislativo e le norme riguardanti i lavori pubblici e gli appalti tendano a rendere caotico e poco governabile l’intero processo; siamo di fronte ad un corpus ridondante e poco organico, spesso emendato, corretto, integrato, senza una visione chiara e globale. Naturalmente tra le priorità va segnalato il bisogno di una semplificazione a tutti i livelli, da non confondere tuttavia con il colpo di spugna o le pratiche aleatorie che hanno seguito la Legge Obiettivo e i molti casi di procedure d’emergenza, speciali e non ordinarie.

In una ottica futura pare necessario definire con chiarezza sia i poteri di controllo e di spesa sia gli strumenti attuativi, in modo che risultino più chiari sia gli ambiti che i compiti specifici, evitando le storture viste con EXPO e con altre grandi eventi come Torino 2006. A livello di pura gestione l’esperienza milanese ha messo in luce tutte le fragilità di un sistema, che nella sua interezza, introduce cause di ritardo, espansione dei costi e mancanza di controlli sull’operato delle imprese il cui ampio spettro di ricadute va dallo spreco inevitabile di risorse fino alla mancanza di piani e visioni coordinati allo sviluppo e gestione razionale del territorio.

A questo punto occorre prendere in considerazione gli aspetti primari per la valutazione della esperienza EXPO che, lontano dagli occhi del pubblico, rappresentano altrettanti strumenti per valutarne il successo.

La pianificazione e le valenze strutturali

La pianificazione urbanistica e territoriale ha in Italia una lunga storia, sia dal punto di vista disciplinare che pratico, tuttavia accanto allo sviluppo e alla ricerca sono evidenti le inadeguatezze e la mancanza di risultati prodotti. L’Esposizione coinvolge un ampia area alle porte di Milano e, in un’ottica allargata, interessa l’intera Regione dal punto di vista infrastrutturale. Va però subito fatto notare come la maggior parte delle opere che si vogliono intendere come corollario della manifestazione fossero in realtà allo studio o in partenza da molto prima: le infrastrutture principali come linea metropolitana 4 e pedemontana non possono essere logicamente considerate “accessori” di EXPO, bensì opere di mobilità pubblica a sè stanti, sia per l’iter decisionale che per i finanziamenti. Il fatto che si tenda a vedere la spesa dello Stato in maniera così indistinta porta a diversi errori di valutazione riguardo al vero impatto di EXPO. È ipotizzabile che la pressione per l’evento abbia portato allo sblocco dei fondi e, in parte, ad una accelerazione dei lavori, tuttavia è opportuno chiedersi quanto sia funzionante un Paese in cui per giustificare il finanziamento delle infrastrutture sia necessario imbandire una parata internazionale; da questo punto di vista si è semplicemente continuato nel solco di un’ottica emergenziale di scarso respiro, soprattutto quando si analizzano lavori meno appariscenti, tra cui piccoli interventi di manutenzione del territorio e di messa in sicurezza, interventi sulla mobilità a volte discutibili e, in generale, opere la cui giustificazione non può essere EXPO, bensì una gestione oculata del territorio.

Un discorso a parte riguarda le cosiddette “vie d’acqua”, progetto legato ad EXPO e vittima prima del taglio dei costi e successivamente dei consueti ritardi, nonchè di una pianificazione e gestione malaccorta: in maniera assolutamente rappresentativa dell’intera vicenda il territorio ha semplicemente accolto una dubbia infrastruttura che percorre un territorio bisognoso di interventi puntuali, attraverso parchi e terreni irrigui forse destinati ad utilizzarla come canale; una semplice opera idraulica sostanzialmente inutile allo sviluppo e alla gestione del territorio. Al contempo la pubblicistica vuole che siano stati eseguiti lavori di manutenzione ai canali e riqualificazione delle sponde dei navigli ma, soprattutto, spicca la risistemazione della Darsena; opera indubbiamente meritoria sotto l’aspetto dell’arredo cittadino ma certamente bisognosa di un progetto più ampio che riguardi la navigabilità della rete nel suo complesso.

Il canale della “via d’acqua” in costruzione verso l’arrivo nell’area EXPO

Il canale della “via d’acqua” in costruzione verso l’arrivo nell’area EXPO


La vicenda conferma e rafforza una pratica, sia propagandistica che politica e amministrativa, i cui veri danni possono essere riscontrati ovunque nel Paese, laddove non si accendono i riflettori del grande evento; la manutenzione, il controllo e la pianificazione delle attività umane sul territorio vengono interpretate su orizzonte temporale breve, poco rappresentativo e non vi è nulla che aiuti maggiormente a spiegare l’errore di base di questa impostazione che il destino incerto di un’area di estesa per un milione di metri quadrati.

Il futuro dell’area è infatti uno dei grandi nodi irrisolti dell’intera operazione, un tema ricco di implicazioni sia economiche che sociali i cui risultati sono inconoscibili e strettamente legati alle decisioni prese riguardo all’acquisto dei terreni e alla loro rivendita . Va ricordato che un punto qualificante della candidatura di Milano fu proprio la disponibilità dei terreni, forniti da privati con la possibilità di uno sviluppo successivo secondo linee guida pubbliche e con una particolare attenzione alle esigenze della comunità. Di fatto, senza una adeguata pianificazione è stato deciso un acquisto che si risolve in un nulla di fatto dal punto di vista della strutturazione dell’area, seguendo una linea purtroppo frequentemente sperimentata in presenza di aree dismesse (perchè tale sarà EXPO tra pochi mesi): nonostante le rassicurazioni sulle valutazioni delle offerte che verranno fatte per l’area, con particolare attenzione ad una fantomatica “qualità”, il prezzo di base d’asta ha scoraggiato gli investitori, ben consapevoli di avere interesse nell’attendere che la situazione si renda ancor più problematica in modo da avere maggiore potere di contrattazione e imporre interventi di pura crescita edilizia. Dopo l’insuccesso dell’asta si è affacciata l’ipotesi di suddividere l’area, consegnandola definitivamente all’irrilevanza dal punto di vista della pianificazione e dell’urbanistica.

Urbanistica e Architettura

Dal punto di vista strettamente urbanistico se, come ricordato, l’Italia ha una lunga tradizione disciplinare nessuna riflessione profonda sembra sia contata durante i lavori; questo nonostante le manifestazioni a livello internazionale abbiano una lunga storia e l’approccio al tema di come e cosa costruire si sia col tempo sviluppato, proponendo quella che possiamo considerare una visione duale tra istanze (anche sociali) moderne e repertorio del passato.

Da una parte possiamo ricordare gli edifici o i progetti lasciati in eredità da manifestazioni simili, tra cui ovviamente la Tour Eiffel o il Crystal Palace di Londra (non più esistente).

Palazzo della prima esposizione universale, noto come Crystal Palace – Londra

Palazzo della prima esposizione universale, noto come Crystal Palace – Londra

L’ottica che ha creato questi monumenti appartiene all’Ottocento e vedeva nella esposizione una sorta di elemento di temporaneità a cui poco doveva sopravvivere, quasi in omaggio all’idea di fiera itinerante: non si prevedeva lo sviluppo urbanistico tenendo in considerazione i lavori e la strutturazione di quella parte del territorio se non in maniera marginale. Spesso l’eredità associata era involontaria, come ad esempio la spinta alla creazione di uno stile condiviso per le città americane a seguito della World’s Fair di Chicago, oppure l’unanime inserimento del Palace di Joseph Paxton nei libri di storia di architettura.

World’s Fair – Chicago

World’s Fair – Chicago

Un discorso diverso è l’impronta programmatica che col passare del tempo ha cercato di coniugare urbanistica, gestione e architettura, cercando di andare oltre il singolo momento. Pur con i limiti di ogni singolo caso, le vicende delle olimpiadi di Barcellona e di Londra forniscono un esempio di come pensare la città in maniera maggiormente organica ma gli esempi non sono solo all’estero: il piano per EUR 42, iniziato durante il periodo fascista ma in realtà sviluppato soprattutto nel dopoguerra, rappresenta un punto importante di interesse nella storia dell’urbanistica e come risposta alle necessità di pianificazione nonché un laboratorio di analisi dei limiti e delle virtù di tale approccio ad hoc.

L’area EUR di Roma nel 1953

L’area EUR di Roma nel 1953

Tornando ad EXPO, nonostante il buon progetto di partenza e una visione che pareva più chiara, il masterplan è stato radicalmente modificato fino a trovare l’opposizione del progettista stesso. Stefano Boeri ha più volte espresso il disappunto per delle modifiche che hanno stravolto l’idea iniziale cancellando l’ipotesi di istituire un orto botanico con aree attrezzate per la ricerca in grado di valorizzare il territorio. Il mesto risultato attuale, affascinante forse nei singoli episodi architettonici, è la classica sfilata di padiglioni destinati a svanire dalla memoria, se si esclude il padiglione Italia le cui funzioni successive e soprattutto il ruolo urbanistico e di sviluppo rimangono sconosciuti. Importante anche la completa inversione da un piano composto in maggioranza di aree verdi e sostenibile ad una percentuale di costruito preponderante. Da questo punto di vista ci sono tutti i presupposti per temere che, lungi dall’essere un punto nodale e rappresentativo dal punto di vista architettonico e urbanistico, EXPO lasci in eredità poco o nulla se non il rimpianto per l’occasione mancata e interessanti riflessioni disciplinari di cui, purtroppo, si fa fatica a vedere l’applicazione.

Milano in particolare ha visto negli ultimi anni uno sviluppo dei progetti in punti nodali, (la vecchia zona fiera, Porta Garibaldi e così via) i cui risultati sono naturalmente valutabili solo nell’arco del lungo periodo. Tuttavia se per alcuni si può esprimere un giudizio rilevante riguardo alle metodologie e alla qualità urbanistica e architettonica, scoprendo risultati che variano sensibilmente, l’intero progetto per EXPO lascia irrisolte le importanti questioni poste sul tavolo e si limita a coprire con la rilevanza mediatica delle manifestazioni e degli eventi in programma le deleterie deficienze strutturali e sistematiche di cui è figlio.

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