Dopo il SuperTuesday

Disclamer: ho scritto questo pezzo dopo una notte insonne e diverse ore ad ascoltare e leggere in inglese, quindi mi scuso se le frasi in italiano hanno ancora meno senso del solito. Do la colpa alla carenza di sonno, e nel caso mano a mano risistemo alcuni passaggi. Ok, cominciamo.

Ieri si sono svolto l’appuntamento cardine delle primarie Americane, ovvero il SuperTuesday.

Non è ancora emerso alcun candidato sicuro, ma entrambi i partiti hanno in questo momento un leader consolidato: Clinton per i Democratici e Trump per i Repubblicani.

I numeri

Partiamo dall’aspetto fondamentale: quanti delegati servono per la nomination?

Per i Democratici il numero magico è 2.383, e la Clinton ha attualmente dalla sua parte 1.001 Delegati, di cui 453 conquistati durante il SuperTuesday e 457 SuperDelegati (ovvero i delegati non eletti che possono decidere per chi parteggiare). Al secondo (e ultimo) posto Sanders ha 371 di cui 284 conquistati nel SuperTuesday.

Per i Repubblicani il numero magico è 1.237, Trump ne ha attualmente conquistati 316, di cui 234 ieri; Cruz ha 226 Delegati di cui 209 conquistati ieri, e Rubio ne ha 106 di cui 90 conquistati ieri.

Come si può vedere in campo Democratico -per effetto dei SuperDelegati- i giochi sono abbastanza fatti, mentre in campo Repubblicano sembrerebbero ancora aperti, almeno numericamente. Questi numeri nazionali però mascherano in parte quello che sta succedendo: vediamo quindi cosa succede in casa Democratica e in casa Repubblicana.

Democratici

La posizione iniziale di Hillary era centrista e in continuità con Obama, quella di Sanders era ed è, socialdemocratica/populista in discontinuità con Obama: già questa differenza iniziale nei militanti del partito si fa sentire. I militanti Democratici non son di per se delusi da quanto fatto da Obama e – stando ai sondaggi – sono anche in generale più soddisfatti della situazione socioeconomica del paese, e quindi meno propensi a votare candidati di rottura. Nonostante questo Sanders è riuscito a crearsi un movimento di opinione per lo più composto da giovani: il problema è che come nel caso di Occupy Wall Street per giovani si intende giovani per lo più bianchi del ceto medio con un discreto livello di istruzione, non proprio la Working Class. Per questa ragione Sanders è molto più efficace negli stati industriali del nord; Hillay invece ha gioco facile a prendere gli elettori del sud che avevano sostenuto Obama, proprio per il fatto che il suo messaggio è in continuità con quello di Obama.

Ciò nonostante Sanders ha avuto un grosso effetto sulla campagna Democratica: ieri sera la Clinton e Sanders avrebbero potuto scambiarsi i discorsi senza che nessuno se ne accorgesse, tanto la retorica di Hillary ha dovuto spostarsi su messaggi più populisti lontano dal centrismo pragmatico che ha contraddistinto i primi mesi della sua campagna.

Da qui in avanti la campagna di Sanders sarà naturalmente in salita: probabilmente non diventerà aggressivo verso la Clinton per disciplina di partito, e probabilmente uscirà dalla gara quando la Clinton raggiungerà il numero magico (attorno alla fine del mese) con tutti i SuperDelegati, in modo da poterle dare un grosso vantaggio cominciando prima dei Repubblicani la campagna presidenziale. Questo naturalmente se si esclude un ribaltamento di fronte alle prossime settimane, con particolare attenzione al Michigan e ai suoi 130 delegati l’8 Marzo.

Repubblicani

Il campo repubblicano è molto più divertente. Rispetto ai Democratici i politici Repubblicani hanno via via nel corso degli anni imparato che per vincere alle primarie non era necessario convincere tutta la base del partito, ma era meglio concentrarsi sul conquistare una particolare corrente e poi espandere il messaggio mano a mano che il numero di candidati scendeva: questo processo però ha creato sempre leader di parte e ha diviso il partito (i repubblicani vedono ancora in Reagan l’ultimo leader che è stato in grado di riunificare il partito). Trump da outsider è entrato in politica con un messaggio che si adattava a buona parte della base Repubblicana, a molti indipendenti, e addirittura a qualche Democratico: per questa ragione se si guardano i risultati di determinati stati si nota come le contee non siano equamente divise tra candidati, come accadeva gli scorsi anni, ma sono principalmente per Trump indipendentemente da quale corrente dominasse la contea. Questo naturalmente è successo perché la base Repubblicana non solo è arrabbiata con Obama, ma è anche – dallo stesso sondaggio di prima – meno soddisfatta di come vanno le cose, ed è pure arrabbiata con l’establishment del partito, ed è per questa ragione che Trump ha avuto gioco facile a costruire un movimento populista di cambiamento: Trump insomma ha “rottamato” il partito nel processo di unificarlo.

Rubio doveva essere il candidato di unificazione, se non ci fosse stato Trump: è giovane e ha giocato da anni bene le sue carte per essere in quella posizione in quel momento. Di fatti è riuscito comunque a ottenere i suoi 100 delegati, ma ha portato a casa solo il Minnesota che contestualmente è l’unico stato dove Trump non è arrivato primo o secondo. Ma perché allora Trump si e Rubio no? Rubio è comunque parte del partito, e quindi non è molto in discontinuità, ma la cosa che potrà sembrarvi più assurda è che le posizioni di Rubio sono meno gradite all’ala liberale del partito rispetto a quelle di Trump.

Cruz è attualmente quello con più speranze di battere Trump, ma molti Repubblicani hanno dei dubbi su come possa unificare il partito e vincere le elezioni date le sue posizioni ultraconservatrici.

La situazione quindi è questa: gran parte dei Repubblicani non vuole Trump perché distruggerebbe il partito, ma l’unico che pare in grado di strappare la nomination a Trump probabilmente poi non avrà speranze contro la Clinton, mentre Rubio che potrebbe andar bene sia per il partito che per le presidenziali non ha vinto praticamente nulla, ed è quindi impossibile che Cruz si schieri per lui. La gara quindi rimane aperta e a tre, e come abbiamo visto fin ora se la gara è a tre Trump ha buone speranze di arrivare ovunque primo o secondo, e vincere a mani basse la nomination. Cruz naturalmente non mollerà fino alla fine, mentre Rubio non mollerà almeno fino alle primarie del suo stato di casa, ovvero la Florida il 15 Marzo, il che vuol dire che tra qui e la eventuale gara a due verranno assegnati 706 delegati e che se Trump ne prendesse metà potrebbe diventare inarrestabile.

Sull’onda del successo di ieri notte il “super PAC” (comitato di raccolta fondi indipendente dai candidati) anti Trump ha cominciato a raccogliere soldi di alcuni grossi nomi che vogliono “chiunque ma non Trump”. Con quei soldi il comitato finanzierà campagne pubblicitarie e iniziative contro Trump e questo naturalmente lo danneggerà anche dopo una eventuale nomination.

Le primarie continuano

La situazione quindi come vediamo è abbastanza decisa, ma anche abbastanza esplosiva per i repubblicani, che si sono accorti troppo tardi che Trump non era uno scherzo.

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