Diritto di cronaca e diritto di critica

L’articolo che segue è stato scritto da Capra&Cavoli, io lo pubblico a suo nome.

Cronaca e critica sono entrambe emanazioni dell’art. 21 della Costituzione, ma sono fondamentalmente diverse. Entrambe riguardano eventi di pubblico interesse, ma mentre la prima è una mera esposizione dei fatti per informare il lettore e quindi obiettiva, la critica presuppone una valutazione soggettiva di condotte, eventi, fenomeni che porta alla formazione di un giudizio o un’opinione, un consenso o un dissenso, per cui i limiti all’esercizio di questo diritto sono più ampi rispetto al diritto di cronaca. Tuttavia, anche il diritto di critica incontra dei limiti.

Con la tutela del diritto di cronaca si garantisce la libertà di informazione, nella sua duplice veste di diritto ad informare e ad essere informati. Con la tutela del diritto di critica, in più, l’ordinamento garantisce quell’aspetto della libertà di pensiero che più di ogni altro è funzionale alla dialettica democratica; da ciò ne deriva che, se la critica si riduce ad una mera aggressione personale, diventa incapace di stimolare dibattiti costruttivi.

In generale, il diritto di critica non dovrebbe mai trasmodare in libertà di insulto, dileggio o disprezzo della persona, né tanto meno nella libertà di divulgare notizie false su qualcuno al fine di screditarlo. Tuttavia, presenti determinati requisiti, certe notizie o espressioni obiettivamente lesive dell’onore vengono scriminate, cioè possono essere lecitamente divulgate senza configurare reato.

E quali sono dunque questi requisiti? Dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’individuarne tre (cfr. Cass. 18/10/1984 n. 5259, nota come “il decalogo del giornalista”):

  1. La verità dei fatti narrati;
  2. La rilevanza sociale della notizia;
  3. La continenza del linguaggio.

Affinché uno scritto o una dichiarazione lesiva della reputazione di un individuo, quindi obiettivamente diffamante, possa ritenersi divulgata in modo lecito perché scriminata dal diritto di critica, è necessario prima di tutto che l’informazione riguardi fatti veri, dimostrati o dimostrabili. Va da sé che le notizie false sono quelle che riportano fatti mai accaduti, oppure accaduti in maniera diversa dalla realtà. Sempre secondo la Cassazione, spetta al giornalista approfondire, controllare e verificare i fatti e le fonti, nonché dimostrare che è stato fatto di tutto per superare ogni dubbio o incertezza in ordine alla verità sostanziale dei fatti.

E’ necessario inoltre l’interesse pubblico delle informazioni, da intendersi come interesse della collettività a venire a conoscenza della manifestazione critica. Ciò significa che la critica deve riguardare fatti o comportamenti che rivestono importanza per la collettività, con esclusione dei fatti personali; pertanto, la critica rivolta ad un politico su fatti della sua vita privata non può interessare la collettività se quei fatti non incidono sulla sua attività pubblica. Inoltre, poiché la collettività non ha alcun interesse a conoscere i giudizi su persone prive di notorietà, la critica pubblicamente rivolta ad uno sconosciuto non può considerarsi legittima. Per capirsi: se andate in giro a dire che il vostro avvocato è un ladro, il vostro collega un ruffiano e la vostra ex moglie una sgualdrina, la vedo dura appellarsi al diritto di critica, mentre in compenso avrete ottime chances di aggiudicarvi una querela per diffamazione.

Bisogna, infine, che il linguaggio sia civile, decoroso e non ingiurioso, in quanto rimangono punibili quelle espressioni che la giurisprudenza definisce “gratuite”, ossia non necessarie poiché inutilmente volgari, umilianti, dileggianti e aggressive della sfera morale altrui. E’ l’uso del cosiddetto argumentum ad hominem, inteso a screditare un avversario politico dando valutazioni negative circa le sue qualità morali, intellettuali, psichiche o addirittura fisiche, evocando una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale anziché criticarne i programmi e le azioni. Ad esempio, chi definisce un avversario politico “ebetino” potrebbe, volendo, destare l’interessamento della Magistratura in quanto fa una critica sul nulla, priva di argomentazioni. Non è il caso solo della politica: di recente la pur brava giornalista Paola Saluzzi ha rischiato di perdere il posto (e la faccia) per aver definito su twitter “imbecille” l’ex ferrarista Alonso. Questi due esempi non possono ascriversi al diritto di critica, in quanto non è possibile la verifica della verità, perché non vi sono fatti; si usano termini che deprimono, anziché stimolare, la dialettica democratica poiché offendono solamente e, pertanto, non possono ritenersi legittimi.

Esistono però tecniche denigratorie talmente sopraffine che non sono sanzionabili in alcun modo. Una delle più usate nei dibattiti televisivi per screditare l’avversario è far finta di non ricordarne il nome, colpiti da improvvisa amnesia. E che dire della sua forma più evoluta, quella che ormai dilaga anche sulla carta stampata, ossia l’arte perversa di storpiare i nomi? Precursore di questa specialità è il leggendario Emilio Fede, per la regola del contrappasso ribattezzato “Emilio Fido” dal suo più degno erede, quel giornalista dalla schiena dritta che ha ormai superato il maestro. Ma in questi casi parlare di giornalismo è improprio, poiché si scade nel puro avanspettacolo.

Va detto che i giornalisti ricorrono spesso a subdoli escamotages per aggirare gli ostacoli, che costituiscono altrettante forme di abuso e configurano uno scorretto esercizio del diritto di critica.
In primo luogo, l’uso del cosiddetto sottinteso sapiente, ovverosia l’uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il lettore le percepirà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale, e comunque in una accezione sfavorevole nei confronti della persona cui sono riferite. Il sottinteso sapiente più frequente ed insidioso è l’uso delle virgolette.

In secondo luogo, gli accostamenti suggestionanti tra i fatti che si riferiscono al soggetto in questione con altri fatti che, sebbene riguardanti persone e situazioni estranee alla vicenda considerata, per il contesto in cui sono inseriti finiscono per essere intesi dal lettore come riguardanti anche la persona che si vuol mettere in cattiva luce.

Ancora, si dovrebbe evitare il tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato, soprattutto nei titoli, che accompagna notizie neutre o comunque di scarso impatto, allo scopo di suggestionare i lettori inducendoli a recepire non il contenuto della notizia, quanto la sua presentazione.

Infine, vengono considerate scorrette tutte le insinuazioni, più o meno velate (del tipo “non si può escludere che…”). Giudicate voi, in base alla vostra esperienza, qual è la testata giornalistica che, pur essendo in nutrita compagnia, più di tutte si avvale di tali espedienti…

Fatte le dovute precisazioni, tuttavia, bisogna ammettere che nelle ultime campagne elettorali si è assistito ad un generale innalzamento dei toni “critici”. Nella dialettica politica sono entrati termini ed espressioni che, in teoria, non potrebbero rientrare nel diritto di critica, perché non sorretti da argomentazioni, ma che in pratica ormai passano quasi inosservati. Non si può quindi negare che la spettacolarizzazione della politica abbia finito per ampliare i limiti del diritto di critica. Se questo sia un bene o un male, è un giudizio soggettivo.

Considerazione del tutto personale: certe condotte gravemente e gratuitamente diffamatorie che imperversano in rete e sui social non solo giustificano la permanenza del reato di diffamazione tra quelli che lo Stato reputa meritevoli di sanzione penale, ma dovrebbero portare il legislatore a pensare ad un rafforzamento della tutela del cittadino offeso nella propria reputazione.

PS: questo articolo è frutto di una mia ricerca personale, non sono un esperto in materia, ragion per cui si accettano integrazioni, suggerimenti, obiezioni, critiche, queste ultime possibilmente rientranti nel requisito della continenza verbale. Grazie.

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