Berlino – il muro

Determinati valori o al contrario molte infamie vengono rappresentate dalla mente umana attraverso luoghi ed è curioso quanto per lungo tempo alcuni di essi rimangano impressi nell’immaginario comune, mentre altri in tempi brevi subiscano mutazioni che cambiano completamente la loro reputazione. La città di Berlino, da capitale dell’impero nazista, ovvero il centro dell’orrore, qual’era vista alla fine della guerra, si trasformò nell’arco di poco tempo in un baluardo della libertà e della democrazia, anche se la sua vera autonomia era ancora lontana. Nel 1948 il consiglio parlamentare dell’ovest aveva dichiarato la città sottoposta al Grundgesetz, la costituzione della RFD, ma gli Alleati in quel momento si opposero dichiarando che Berlino non avrebbe avuto diritto di voto né al Bundesrat, né al Bundestag e non sarebbe stata sottoposta al governo federale, quindi come da accordi presi nell’44/45 Berlino non avrebbe potuto diventare un Land tedesco, mentre nell’est, il 7 ottobre del 1949, la nascita della costituzione della DDR, nella quale Berlino est veniva dichiarata capitale della repubblica democratica, venne festeggiata con una fiaccolata lungo la Unter den Linden.
 
La sede del governo cittadino di Berlino ovest venne stabilita presso il municipio di Schöneberg sulla quale torre fu posta la campana della libertà, dono simbolico degli americani e nel 1950 finalmente entrò in vigore la nuova Costituzione, che dichiarava Berlino città e stato federale. Dopo le successive elezioni assunse la guida della città un’ampia coalizione con la SPD, la CDU e l’FDP, guidata sempre da Ernst Reuter, l’uomo paterno con il basco, che organizzò la Berlino del ponte aereo e che purtroppo tre anni dopo soccombé ad una malattia cardiaca.

 

KaDeWe

Kaufhaus des Westens

 

Gli anni ’50 furono determinati dalla divisione interna, la questione est-ovest diventava sempre più evidente, tanto che nel 1952 il governo della DDR dispose il divieto di accesso ai berlinesi occidentali e decine di migliaia di persone persero improvvisamente la possibilità di visitare parenti, tombe di famiglia, se non addirittura l’accesso ai giardini situati nell’est. Furono interrotte le comunicazioni telefoniche est-ovest, i collegamenti tram e autobus, restando in funzione solo la U-Bahn e la S-Bahn.

Berlino ovest aveva perso la sua funzione di capitale, comprese le aree industriali e il controllo dell’hinterland, trovandosi così davanti ad enormi problemi sociali ed economici, un terzo dei residenti non aveva lavoro, così negli anni successivi fu finanziata dalla RFT e dall’occidente per farla diventare “la vetrina dell’ovest” a cui si contrappose la costruzione di uno sfarzoso boulevard nell’est, largo 18 metri e fiancheggiato da alti palazzi in stile staliniano.
 
Fu durante questo cantiere che nacque la rivolta dei lavoratori del 17 giugno 1953, i quali manifestarono il loro disagio per l’inasprimento delle condizioni di lavoro. Diecimila operai, fra muratori e carpentieri, si sollevarono e la rivolta fu soffocata nel sangue. Così nacque l’idea che l’unico modo per dimostrare la propria insoddisfazione era quella di abbandonare Berlino est e la DDR. Furono inizialmente 332.000 i lavoratori che volsero le spalle al “primo stato di operai e contadini” sul suolo tedesco. Tra il ’54 e il ’58 il numero di persone che fuggirono (soprattutto giovani fino a 25 anni) salì fino a un milione e mezzo facendo subire un notevole colpo all’industria e al commercio, poiché i due terzi dei fuggiaschi erano in età produttiva. Alla DDR mancava sempre più la forza lavoro che contribuiva a moltiplicare i danni per il bilancio statale e per la programmazione economica, quantificati in 30 mld di marchi dell’est. Fu così che la fuga divenne reato e scappare fu più difficile, mentre all’ovest la radio locale annunciava puntualmente ogni sera il numero di persone fuggite che si erano presentate alle autorità competenti. Nel 1959 arrivarono 90.862 persone, nel 1960 furono 152.291 e la maggior parte di questa umanità veniva smistata nella RFT a spese del governo tedesco.

 

 

La direzione della SED spinse per convincere il Cremlino a rimuovere l’ostacolo occidentale. L’arma del blocco aveva già fallito quindi i soviet e Kruscev proposero, nel 1958, la “smilitarizzazione” di Berlino ovest e la sua trasformazione in “città libera”. Seguì un periodo di forte tensione da ambo le parti durante il quale né la conferenza dei ministri degli esteri a Ginevra nel 1959, ma neppure l’incontro fra Kennedy e Kruscev a Vienna nel giugno 1961, portò a una conclusione, anzi accumulò altra tensione al punto che Kennedy chiese al Senato 3,4 miliardi di dollari per spese militari rinforzando l’esercito da 870.000 a un milione di effettivi. E per dissipare ogni dubbio dichiarò al mondo i three essentials: 1) il diritto di presenza degli alleati a Berlino. 2) libertà di accesso a Berlino. 3) garanzia di libertà e di normali condizioni per i cittadini.
 
Nella primavera/estate del 1961 ci fu un’isterica guerra di propaganda da ambo le parti che portò come risultato un numero di fuggitivi inverosimile, mille nuovi fuggiaschi ogni giorno lavorativo, che stavano ponendo le basi per il collasso economico della DDR. Fu nell’agosto dello stesso anno che nel corso di colloqui segreti fra i capi di partito del patto di Varsavia si decise di costruire il muro, così che la notte tra il 12 e il 13 dello stesso mese, la parte orientale del confine si trasformò in un campo militare in cui affluirono polizia ed esercito che, con la protezione di carro armati, piantarono i pali e stesero il filo spinato. Honecker, segretario per le questioni relative alla sicurezza del comitato SED, guidò le operazioni pianificate in puro stile militare. I cittadini accorsero sul posto, realizzando impotenti la reale divisione della loro città, mentre nella sala conferenze del comando alleati, i tre sbalorditi comandanti aspettarono lungamente ordini dalle rispettive capitali, che si limitarono ad una protesta formale.
 
Fu così che i berlinesi si resero conto dell’arrendevolezza delle posizioni occidentali e che le garanzie americane arrivavano fino al confine con l’est, soprattutto dopo che il Presidente Kennedy inviò in una missione proforma il suo vice Lyndon Johnson per incoraggiare la popolazione. Il problema del libero passaggio da ovest verso est si acutizzò fino ad arrivare al confronto diretto nell’ottobre del 1961, quando carri armati americani e sovietici si fronteggiarono sulla Friedrichstraße per 24 ore.
 
Nel gennaio del 1963 fece comparsa al Checkpoint Charlie, Nikita Kruscev, con un’espressione placida rivolta verso occidente, cinque mesi più tardi, dall’altro lato, J.F. Kennedy, davanti a 1,3 milioni di persone pronunciò la famosa frase davanti al municipio di Schöneberg: “Ich bin ein Berliner!”. Gli animi dei cittadini necessitavano più che mai di un appoggio morale, il trauma del 13 agosto era stato forte. Solo dopo quasi 28 mesi si giunse a una complicata intesa sui lasciapassare, che consentì nel Natale del 1963 di recarsi a far visita ai parenti dell’est. Diversi accordi, fino al 1966, regolarono altri sei periodi, più tardi solo occasioni eccezionali permisero visite dell’ovest nella parte orientale della città.
 
La politica sovietica continuò sulla strada di puntare al distacco della città dalla Repubblica federale, appoggiando la teoria dei tre stati, secondo la quale Berlino ovest avrebbe dovuto costituirsi come entità autonoma e quando il Parlamento della RFT decise di riunirsi in seduta plenaria a Berlino il 7 aprile 1965, i russi terrorizzarono la popolazione con i caccia a reazione che sorvolarono i cieli di Berlino. In seguito diversi altri ostacoli al traffico aereo evidenziarono la vulnerabilità della città.

 

Muro di Berlino

 

Nel frattempo anche l’economia della DDR era in fase di ripresa, uno dei simboli fu la torre televisiva, alta 365 m che sovrasta tutt’oggi la città e che veniva pubblicizzata (propagandata) come il rinnovamento del centro attorno all’Alexander Platz. Pure sul muro vennero fatte “modifiche”, anno dopo anno la sua lunghezza raggiunse i 165 km per un’altezza di 4,20m e per 45 km si insinuava tra le case del centro urbano. Nonostante questo e la serrata sorveglianza militare, gli abitanti dell’est riuscirono ancora a fuggire, anche se il bilancio delle vittime fu conteggiato per i posteri. Nel primo anno di vita del muro si contarono 30 vittime, mentre nei 10.315 giorni della sua esistenza, il totale delle vittime arrivò a ottanta, fra individuate e sconosciute.
 
Oggi l’orribile costruzione è stata ormai affidata alla memoria storica come simbolo di inumanità, e con essa l’immensa sfilata di graffiti del lato occidentale, la più lunga galleria open air della nostra epoca.

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