“Ambiente & veleni”…: uno sguardo critico

“Viviamo in un mondo tossico, ma non dobbiamo per forza vivere in un corpo tossico”. Sì, perché se si può rivoluzionare l’esistenza convenzionalmente indotta, facendo a meno di ingurgitare carne “intensiva” agli ormoni-antibiotici-sulfamidici, pesce al metilmercurio, frutta e verdura ai pesticidi, bere acqua all’arsenico e vino al piombo, respirare formaldeide, utilizzare cosmesi da sintesi chimiche nocive e accessori sgasanti ftalati…si può intraprendere un complesso percorso di rigenerazione del corpo con trattamenti chelanti mirati, capaci di legare ed espellere neurotossine e metalli dannosi per la salute, presenti (certificano le ricerche) pressoché in ognuno di noi, dazio dell’evoluzione della specie senza metabolizzazione, cadeau d’Era Post-Industriale in fegato, reni, cervello e ossa”.

Questo paragrafo, estratto da un recente articolo di quello che fu un quotidiano con serie ambizioni ed è ormai diventato la pattumiera delle peggiori fumisterie catastrofiste/complottiste, rende bene la visione del mondo di certo “pensiero” ecologista radicale. “Viviamo in un mondo tossico” che ci fa ammalare delle più varie malattie, soprattutto tumori: quest’idea è ormai largamente diffusa, grazie anche alla superficialità dei mezzi di informazione che fanno a gara nel diffondere allarmi più o meno realistici fra la popolazione. A leggere i giornali, l’Italia appare come un territorio sfruttato, degradato e inquinato con conseguenze pesantissime su salute e benessere dei suoi cittadini, che si ammalano e muoiono di tumori e altre malattie con frequenza molto alta.

Ma è davvero così? E’ davvero accertato al di là di ogni dubbio il nesso causale fra inquinamento ambientale e aumentata mortalità per varie malattie, come sembrano suggerire le notizie che ci arrivano da alcuni luoghi come la “terra dei fuochi” o l’ILVA di Taranto?

In alcuni casi la risposta è si. Ad esempio, il nesso fra inalazione delle polveri di amianto e un tipo di tumore al polmone, il mesotelioma, è scientificamente documentato. Ci sono però voluti molti anni di studi rigorosi per accumulare le prove necessarie, in parte per la lentezza con cui l’amianto esercita il suo effetto cancerogeno, in parte perché il mesotelioma resta comunque un tumore raro. Per definire un rapporto di causa-effetto ci vogliono studi epidemiologici ben fatti, ben documentati e ben controllati, corredati da adeguati test di validità statistica. E studi di questo tipo non sono poi tanto abbondanti. Per fare un esempio, “il colesterolo alto fa male” è diventato quasi un adagio popolare, ma la comunità scientifica è ancora tutt’altro che unanime sul problema, in quanto gli studi epidemiologici sul rapporto fra colesterolemia alta e incidenti cardiovascolari in soggetti sani hanno evidenziato solo un nesso molto tenue, al limite della significatività. Un discorso molto simile vale per il presunto nesso causale tra mortalità e la maggior parte delle fonti di inquinamento ambientale: ci sono indizi, ma non prove certe e tantomeno evidenze di effetti catastrofici.

Ed è veramente così scarso lo stato di salute degli italiani? Un dato globale ci dice che l’Italia ha, dopo il Giappone, l’aspettativa di vita più alta del mondo. Vuol dire che da queste parti, nonostante la crisi, gli inceneritori, l’ILVA e quant’altro, non si fa poi una vita così malsana. Ma di cosa si muore in Italia, e dove si muore di più?

Le informazioni necessarie per rispondere a questa e altre domande sono reperibili sul sito dell’ISTAT. Ho esaminato i dati più recenti (2011) relativi alla mortalità in Italia per vari tipi di cause. L’intento era di controllare se esistessero differenze significative di mortalità, in particolare per cancro, fra le diverse zone del paese, soprattutto quelle note per alto tasso di inquinamento. Ho considerato sia i tassi di mortalità standardizzati per età sia i quozienti di mortalità grezzi. La standardizzazione per età elimina l’effetto confondente dovuto al fatto che in popolazioni con età media più bassa (Sud) la mortalità grezza è logicamente minore rispetto a quella di popolazioni più anziane (Centro/Nord).

Vediamo prima l’andamento della mortalità 2011 in Italia, per tutte le cause.
Qui troviamo una conferma, e una sorpresa. La conferma è che il TMS (tasso mortalità standardizzato/10.000 abitanti) degli uomini è dappertutto più alto di quello delle donne. La sorpresa è che al Sud/isole si muore di più che al nord, sia uomini che donne. Nel dettaglio, il TMS per i maschi è circa 106 su tutta l’Italia, ma sale a oltre 111 nel Sud e isole, mentre al centro è inferiore alla media nazionale (103.5), è nella media al Nord-Ovest (105) e scende a circa 101 nel Nord-Est. Il TMS delle donne, benché più basso, ha un andamento simile. Questi valori non sembrano avere correlazione evidente con il tasso di inquinamento ambientale, che è più alto al Nord che al Sud, a causa della maggior industrializzazione e maggior traffico veicolare.

Ma la mortalità per tutte le cause non significa un granché, quindi andiamo a vedere più nello specifico.
L’inquinamento industriale, cittadino e da rifiuti tossici è tradizionalmente accusato di aumentare l’incidenza dei tumori. Andiamo allora a vedere solo le morti per tumore.
Di nuovo, le donne muoiono di cancro molto meno degli uomini. Il TMS per tutti i tipi di cancro, su tutta Italia, è circa 35 per i maschi e circa 19 per le femmine. Differenze regionali ci sono, ma sono piccole; il TMS maschile è leggermente più alto al nord, con un picco di oltre 37 al NO, e al minimo nelle isole (circa 33).
Scendiamo ancor più nel dettaglio. Vediamo, ad esempio, che succede in Puglia. Qui non abbiamo tassi standardizzati ma semplici quozienti di mortalità (QM= n. decessi/10.000 abitanti), quindi possiamo confrontare le varie province fra loro, e con la media regionale. QM per tumori di tutta la Puglia, per i maschi: 30.67. A Taranto: 32.35. Sembra in effetti più alto. Ma a Lecce, dove non risultano evidenti cause di inquinamento, salta a 36.38. Vediamo la Campania. QM regionale, sempre maschile, 30.08. Fra le province, il QM più alto lo troviamo a Benevento (34.9) mentre Napoli e Caserta, “terre dei fuochi”, a circa 29, sono simili e vicine alla media regionale. Per la cronaca, il TMS per cancro maschile più alto lo troviamo in Val D’Aosta, con oltre 39. Regione che parrebbe ecologicamente virtuosa, non esattamente il regno dell’inquinamento.

Ma ancora, si potrebbe obiettare: l’inquinamento incide solo su alcuni tipi di tumore. Esempio ovvio, i tumori dell’apparato respiratorio.
Vediamo questi tumori soltanto. Italia: TMS per tumori di polmoni, bronchi e trachea 8.83 maschi, 2.26 femmine. Differenze territoriali anche qui piuttosto piccole. Il TMS maschile più alto si trova al NO con 9.36, il più basso al NE e isole con 8.45. Il TMS femminile è decisamente basso al Sud/isole, circa 1.6. Vediamo alcune regioni “a rischio”. In Campania il TMS maschile è effettivamente superiore alla media (10.86) ma quello femminile (2.18) è più basso. Le differenze tra le varie province sono tutto sommato trascurabili. Puglia: nella media (8.48) il TMS maschile, decisamente basso (1.38) quello femminile. Fra le province, il primato negativo tocca ancora a Lecce, con un QM a 11.28 rispetto al 7.87 regionale.

A questo punto direte: ma certamente saranno state fatte ricerche serie e sistematiche sul nesso fra malattie e inquinamento in Italia. Uno studio particolarmente dettagliato ed esaustivo è il ponderoso “Progetto Sentieri” dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che ha studiato l’andamento della mortalità dal 1995 al 2002 in una quarantina di siti distribuiti su tutto il territorio nazionale, dove si conosceva l’esistenza di una quantità elevata di contaminanti ambientali di varia natura. Lo studio è basato sui dati ISTAT, ma anche sui registri della mortalità nei singoli comuni, quindi scende nel dettaglio molto più di quanto abbia potuto fare io. I dati sono presentati grezzi, oppure corretti per lo stato socioeconomico delle popolazioni esaminate, poiché è noto che i poveri si ammalano di più e muoiono prima dovunque abitino.
Sintetizzando all’estremo un papellone di oltre 200 pagine, i risultati non sono molto diversi da quelli che vi ho descritto più sopra nella mia piccola indagine amatoriale. Lo studio constata che in alcuni dei siti esaminati, anche se non in tutti, la mortalità è aumentata nel periodo considerato; in particolare, viene evidenziata una correlazione tra la presenza di alcuni agenti cancerogeni già accertati e l’aumento di certi tipi di tumore, come il tumore pleurico ed epatico. Lo studio presenta, però, evidenti debolezze. Fra queste, la mancanza di test rigorosi di attendibilità statistica, e la discutibile scelta di utilizzare la mortalità della popolazione di una data regione nel suo insieme come riferimento per normalizzare i dati. Probabilmente, sarebbe stato più corretto scegliere a questo scopo altri siti non inquinati nella stessa regione: come avete visto nei miei numeri più sopra, in Puglia la mortalità per tumori è più alta della media regionale sia a Taranto (inquinata) che a Lecce (no). Ci sono poi delle evidenti stranezze. Ad esempio, in certi siti si osserva un aumento di mortalità per tumori polmonari, ma una diminuzione di simile entità dei morti per tumore dello stomaco: è credibile che entrambi questi effetti siano dovuti all’inquinamento? Oppure la mortalità per tumore aumenta fra gli uomini ma resta invariata fra le donne, mentre un inquinante ambientale diffuso dovrebbe colpire in egual misura entrambi i sessi. Stranezza fra le stranezze, l’aumento di mortalità per presunto inquinamento ambientale è praticamente per intero confinato al Sud Italia: vale a dire che i contaminanti ucciderebbero selettivamente i meridionali, ma non i settentrionali…. razzismo della chimica, sfiga cosmica del nostro povero Sud?
Queste perplessità sono del resto in linea con le stesse conclusioni dell’ISS, che, pur invitando alla vigilanza e alla bonifica, ammette che lo studio non permette di concludere con certezza che, a parte i casi già assodati (tipo la relazione amianto/mesotelioma), l’inquinamento ambientale presente nei siti considerati nella ricerca causi un aumento evidente delle malattie tumorali o di altro tipo.

Si dirà: va bene, ma nell’incertezza applichiamo il “principio di precauzione”: evitiamo ciò che potrebbe essere nocivo. Ma questo principio non è indolore. Il fondamentalismo ecologista, unito al “principio di precauzione” porta alla chiusura di centrali energetiche, acciaierie, attività produttive. Nell’attesa di avere la forma di energia perfetta, non pericolosa, economica, non inquinante, etc. l’Italia rischia di deindustrializzarsi sempre di più. Non voglio certo sottovalutare i pericoli di certe forme di inquinamento, né condonare gli imprenditori che non rispettano le norme ambientali, né giustificare lo smaltimento selvaggio dei rifiuti tossici, ma è necessario riconoscere che qualsiasi attività umana modifica l’ambiente, a meno che non si voglia tornare alle palafitte e all’economia di caccia e raccolta…scarsamente praticabile nel mondo moderno. Si tratta di capire come minimizzare gli effetti potenzialmente nocivi delle attività produttive, e la risposta la possono dare solo le tecnologie avanzate.

Per concludere il discorso, vediamo di cosa si muore maggiormente in Italia, e in particolare di cosa si muore più al Sud che al Centro/Nord. In base ai dati ISTAT 2011, risulta che la principale causa di morte nel nostro paese sono (seppur di poco) le patologie del sistema cardiovascolare, cioè infarti e ictus. Il TMS maschile per queste malattie (Italia) è circa 36, quello femminile circa 25. E qui sfatiamo un altro luogo comune: lo “stressante” Nord sta sotto la media nazionale sia per gli uomini (34 circa) che per le donne (23 circa). IL Centro è nella media, mentre al Sud/isole siamo decisamente sopra, sia per gli uomini che per le donne (rispettivamente circa 41 e circa 30). Il fattore principale che penalizza il Sud qui è senza dubbio il più basso reddito pro-capite, che significa peggiore stile di vita, unito alla minore efficienza del sistema sanitario nazionale, che significa meno prevenzione, meno cure efficaci, più morti. A riprova, il Sud/isole è sopra la media anche nei decessi per diabete. Anche l’eccesso di mortalità al Sud per “inquinamento”, riportato dallo studio ISS, può essere interpretato in questa chiave.

Che conclusioni trarre? Io sommessamente suggerirei: vigilanza ambientale e rispetto delle leggi, certo. Ma meno allarmismi apocalittici per l’”inquinamento” e più tecnologia avanzata, ricerca scientifica e buona sanità.

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